Il coordinatore provinciale di Libera si sofferma sulle recenti inchieste giudiziarie che hanno toccato il trapanese
L’attualità delle ultime settimane è stata caratterizzata da inchieste giudiziarie – “Scrigno” e “Artemisia” – che hanno riportato al centro dell’attenzione il rapporto tra politica e malaffare. Reduce dalla Giornata della Memoria e dell’Impegno, celebrata lo scorso 21 marzo in tante piazze italiane, il coordinatore provinciale di Libera Salvatore Inguì torna a sottolineare l’importanza della centralità della lotta alle varie forme di illegalità che condizionano il Paese.
Da Padova, il 21 marzo, don Luigi Ciotti è tornato a sottolineare come le mafie costituiscano ancora una piaga che dovrebbe occupare il primo posto nell’agenda politica italiana. L’impressione generale, però, è che il governo sia proiettato su altre priorità. Che ne pensa?
La lotta contro la mafia e la “mafiosità” deve necessariamente essere corale. La lotta contro la mafia e la corruzione deve vedere impegnata tutta la società in tutte le sue espressioni. Istituzioni, associazioni, cittadini sia in attività repressive e sia in attività preventive. La Magistrature e le forze di Polizia dimostrano quotidianamente il loro incessante impegno. La scuola, nel suo complesso, prevede nei propri programmi didattici una costante attenzione ai temi della mafia e soprattutto alla educazione alla legalità. Migliaia di attivisti impegnati in diverse associazioni sparse in tutta Italia, di cui Libera è solo una parte tra le parti, sono quotidianamente impegnati nei quartieri più difficili, a rischio, dove la povertà economica e culturale rende i più giovani facile preda delle lusinghe della criminalità organizzata o del crimine in generale. A fronte di tale impegno, che io ritengo essere sempre più incisivo e proficuo, proprio la classe politica, sia del governo centrale che nelle sue diramazioni periferiche, sembra relegare il tema della lotta alla mafia e alla corruzione, non agli ultimi punti della agenda degli impegni, ma tra le “varie ed eventuali”. A maggior ragione in questi ultimi tempi, dove è evidente, che ad ogni operazione antimafia non mancano mai referenti della politica invischiati in un sistema di corruzione e gestione criminale della cosa pubblica da parte di indegni rappresentanti del popolo, che spesso occupano cariche la cui alta responsabilità infatti impone il termine di “onorevole”, ma che invece DISONORANO i propri compiti di garanti delle istituzioni. La mancanza di attenzione verso i temi della mafia e della corruzione sono evidenti sia per l’assenza di parole e di dibattito politico e sia per il continuo venir meno di fondi economici per il sostegno di una politica sociale e culturale adeguata a fronteggiare le necessità. A me appare incredibile che alla voce SICUREZZA oramai i cittadini volgano d’istinto il proprio pensiero al tema dei migranti, ma poi mi rendo conto che non può che essere così se le massime rappresentanze del governo utilizzano questo tema con una quotidiana pervicacia e manipolazione della informazione che alla fine la gente deve per forza credere che in Italia il problema principale sia evitare gli sbarchi dei profughi. E così si rischia che il cittadino medio possa credere che il problema della ingerenza mafiosa nella gestione della nostra quotidianità sia una cosa non reale e comunque non preoccupante.
Poche ore dopo la manifestazione antimafia di Palermo, è stata bruciata l’auto di un’attivista di Libera, Chiara Natoli. A Marsala, recentemente, ci sono stati due episodi “antipatici”, presso il campetto da calcio di Amabilina e il centro di Sappusi in cui, tra le altre cose, si riunisce la Libera Orchestra Popolare. Come leggere questi episodi?
L’incendio della vettura di Chiara a Palermo, gli spiacevoli episodi occorsi nei quartieri di Marsala, fanno compagnia ad altre decine di spiacevoli episodi che si registrano su tutte le città del territorio nazionale laddove volontari ed operatori sociali sono quotidianamente impegnati nel tentativo di educare al “bello” ed alla speranza di un cambiamento possibile soprattutto i ragazzi ed i giovani. I diversi episodi non sono correlati tra loro da una matrice organizzativa univoca, ma trovano un comune denominatore in quella povertà culturale e sociale che fanno sì che questi ragazzi pur agendo con violenza e capacità distruttiva, sono in realtà vittime essi stessi di meccanismi di violenza e di esclusione sociale. Non conoscendo altro codice comunicativo esprimono con il vandalismo il loro disagio, ecco perché proprio a costoro dobbiamo aprire le nostre porte e far conoscere modi alternativi di comunicare, dialogare, crescere. La maggior parte di volte non credo proprio che dietro la commissione di fatti di questa specie vi sia la mafia intesa come organizzazione, ma credo che vi sia invece la mafiosità, intesa come modello culturale e come codice di linguaggio e di comportamento. Occorre incentivare pertanto le azioni di contrasto che sono prioritariamente la costruzione di reti solidali all’interno dei quartieri, la predisposizione di luoghi e tempi della socializzazione positiva, l’approntamento di strutture e luoghi di acculturazione (Centri sociali, centri sportivi, teatri,…), il contrasto alla dispersione scolastica.
Le cronache giudiziarie di queste settimane hanno riportato la provincia di Trapani sulle prime pagine dei giornali nazionali, in seguito alle operazioni “Scrigno” e “Artemisia”. Dalla carte dell’inchiesta emerge per l’ennesima volta uno scenario inquietante, che vede ancora esponenti politici barattare assunzioni, favori o promesse in cambio di voti. Dal suo punto di vista c’è stato un abbassamento del livello di attenzione rispetto a questi fenomeni?
Il fatto che oggi assistiamo ad operazioni di polizia che coinvolgono politici, funzionari ed amministratori assieme ai mafiosi “classici” segna, per me, la fine di quel lungo periodo che ha visto una larga fetta di cittadini, che ricoprivano ruoli pubblici, ma che di fatto parevano e si atteggiavano come intoccabili, al di sopra della legge, impunibili ed impuniti. Oggi non vi sono più intoccabili e anche i politici più potenti o più influenti non vengono risparmiati dalle patrie galere. Il vero problema non è però il farabutto che decide di entrare in politica ma la gente che lo sostiene: dal partito che lo candida ai cittadini che lo votano. Ed ancora una volta non possiamo non fare riferimento alla povertà, soprattutto materiale, di tante famiglie disposte a “prostituirsi politicamente” acconsentendo di svendere il proprio voto per un sacchettino della spesa, o per venti euro o per un posto, per lo più infimo e a tempo determinato. La gente dovrebbe chiedersi prima di dare il proprio consenso elettorale “chi è quella persona? Che storia ha? Quale impegno ha già mostrato per il bene della comunità?”. Il fatto che la gente non se lo chieda è dettato da quello stato di miseria che fa sì che il bisogno prioritario sia un bene di immediato consumo e pertanto si possono sacrificare gli ideali etici ed ai valori morali. Ma quindi la povertà e la marginalità sono necessari al “sistema”. Più la gente rimane nelle difficoltà economiche, più si estranea dai processi di acculturazione e coscientizzazione, più rinforza i meccanismi di svalorizzazione della etica della politica. Ecco perché la povertà è funzionale al sistema. Ed ecco perché abbiamo tanti pusillanimi politicanti ignoranti che fanno della Politica una missione di servizio per la collettività.
Cosa dovrebbe fare la politica locale per liberarsi definitivamente da questo genere di situazioni?
La vera “politica locale” sono i cittadini. Che aprano gli occhi. Abitiamo in città che ci consentono di conoscerci reciprocamente o di attingere informazioni di questo o di quel candidato. Prima di votare abbiamo la possibilità di sapere chi è quel soggetto. Lo sappiamo già che personalità e che impegno ha e, verosimilmente, che tipo di politica adotterà. I cittadini sono consapevoli di affidare una città a brava gente o a idioti o a gentaglia. E i dirigenti di partito più di chiunque altro sanno bene di quali soggetti nutriranno le proprie liste. Ecco perché sono ridicoli quando poi si stracciano le vesti e recitano la parte degli increduli, quando in realtà, pur di raccattare qualche voto in più consentono di candidare personaggi da cui si dovrebbe stare ben alla larga. La colpa della politica incapace non è dei politici corrotti ma dei cittadini compiacenti, sempre e comunque.
In generale, che tipo di fase sta vivendo Cosa Nostra nel trapanese? E’ pensabile che la crisi economica degli ultimi dieci abbia in qualche modo rafforzato il potere di fascinazione e di reclutamento di nuove leve all’interno della criminalità organizzata?
Cosa Nostra nel trapanese continua a godere di buona salute perché continua a mantenersi fedele a sé stessa; perché accanto alla coppola e alla lupara, ha da sempre avuto e continua ad avere il sostegno della media e grande borghesia, della imprenditoria, dei professionisti della finanza, dei massoni rampanti, dei poliziotti corrotti, dei politici delinquenti, di sacerdoti benedicenti. E’ una mafia che non ha bisogno di sparare un colpo di pistola, che non deve più fare ricorso al tritolo, che intimidisce con mezzi sempre più subdoli e apparentemente meno aggressivi. Sicuramente la crisi economica consente di reclutare più facilmente il consenso e la base “culturale” e probabilmente anche un po’ di bassa manovalanza tra i ceti popolari e proletari. Ma purtroppo la mafia trapanese affascina ed incanta e seduce se non di più, tanto quanto, tra le fasce borghesi.
Queste settimane sono state caratterizzate anche dal tragico e brutale omicidio di Nicoletta Indelicato. Un episodio, quanto mai drammatico, che ha portato la comunità marsalese a interrogarsi, più in generale, sui tempi che viviamo, connotati da una crescente aggressività, evidente su diversi livelli. Che insegnamento possiamo trarre da tutto ciò?
Il caso della giovane nostra sfortunata concittadina Nicoletta, al di là della specificità della vicenda, della quale si stanno occupando gli investigatori competenti in maniera egregia, visti anche gli immediati risultati ottenuti nell’individuazione degli autori, deve richiamarci ad una attenzione costante e responsabile sullo stile di vita dei nostri ragazzi. A noi adulti il compito di educare alla sobrietà, alla semplicità, ed alla sacralità di taluni valori quali il rispetto della vita e delle relazioni umane, i nostri figli, le nuove generazioni. Alcuni episodi di cronaca ci hanno mostrato giovanissimi capaci di uccidere a bastonate un povero senza fissa dimora solo per rubargli venti euro. Dobbiamo inorridire, sicuramente. Ma in che mondo sono immersi i nostri figli? Di quali valori si stanno nutrendo? Tutti valori effimeri dell’apparire: La ricchezza, la bellezza, il potere di sopraffazione! Noi non educhiamo i nostri ragazzi con ciò che diciamo loro; loro ci guardano più di quanto non ci ascoltino. Loro sono il frutto della nostra ipocrisia. L’ipocrisia del mondo degli adulti dove non sempre ciò che si predica è poi coerente con ciò che si pratica. Rimodellare i nostri stili di vita in direzione di una coerenza relativamente ad un reale impegno per la salvaguardia dell’ambiente, per l’accoglimento dell’Altro, per l’espressione della solidarietà alle fasce più deboli, per lo sviluppo della cura delle risorse naturali, è un imperativo categorico che non va più detto ma agito.