I tifosi juventini, ieri mattina, li si riconosceva dal sorriso baldanzoso con cui attraversavano strade e piazze, alla ricerca di sguardi complici di amici e conoscenti con cui condividere l’entusiasmo per l’acquisto di Cristiano Ronaldo per la prossima stagione. Lontano dai fasti degli anni ’80 e ’90, il nostro campionato da tempo non è “il più bello del mondo”, sebbene il calcio continui ad essere l’unica vera religione di Stato nel nostro Paese. Appare dunque comprensibile l’interesse che sta caratterizzando l’arrivo in Italia di uno dei migliori attaccanti degli ultimi 20 anni, capace di vincere tre Champions League negli ultimi tre anni e di vincere per cinque volte il Pallone d’oro.
Tuttavia, chi crede che la stella di CR7 possa ridare splendore a tutto il movimento calcistico italiano si sbaglia di grosso. Purtroppo l’Italia ha spesso puntato su soluzioni pigre per rilanciarsi nello sport. Mentre altrove si punta sulla programmazione a medio-lungo termine per formare generazioni di atleti capaci di portare in alto le proprie bandiere, in Italia si preferisce attendere l’arrivo del Messia: un giorno tocca a Mennea nell’atletica, l’indomani a Panatta nel tennis, poi a Tomba nello sci. Chiusa la carriera dei grandi campioni appena citati, le relative discipline sono tornate a riservare poche e sporadiche gioie ai colori azzurri. Perché dietro l’eroe di una stagione, c’era il deserto. Allo stesso modo, l’Italia che si lecca le ferite per un campionato povero di appeal (soprattutto rispetto a Spagna e Inghilterra) e un’estromissione dai Mondiali che grida ancora vendetta (dopo le fallimentari esperienze del 2010 e del 2014), si ritrova a sperare in un Cristiano Ronaldo a fine carriera per sperare nell’iniezioni di denari freschi in termini di sponsorizzazioni e diritti televisivi. Nel frattempo, tra qualche settimana, torneremo a fare i conti con una nazionale mediocre, che tra gli under 30 ha solo nell’inviso e instabile Balotelli un giocatore di reale caratura internazionale.
Lontano dal paradiso delle squadre più blasonate, c’è una maggioranza di società di provincia costantemente sull’orlo del fallimento che finiscono per fagocitare nelle loro crisi giovani promesse di belle speranze e sconsolati tifosi che li seguirebbero in capo al mondo pur di sostenerli. Eppure, basta passare accanto a un polveroso campetto di periferia delle nostre città per sentire le voci piene di entusiasmo di ragazzini che rincorrono un pallone provando ad imitare i propri idoli. Nelle realtà piccole e semplici, ci sono allenatori che svolgono un ruolo sociale preziosissimo, offrendo ai ragazzi di periferia un’alternativa alla noia e alla deriva esistenziale, un’opportunità per conoscere luoghi e culture diverse rispetto a quelle del proprio rione. E’ dal sostegno a queste iniziative che si dovrebbe costruire le basi per una visione nuova, capace di alimentare quei valori di cui lo sport è portatore: rispetto per le regole, per se stessi e per gli altri. In Germania, in Francia, in Belgio, in Spagna o in Olanda, ogni volta che si registra un fallimento, si pensa a programmare e a ripartire dal basso. Chiunque sarà chiamato a occuparsi dello sport in Italia nei prossimi anni dovrebbe fare la stessa cosa: meglio cento Oriali domani che un Ronaldo oggi.