Nel corso della mattinata odierna la DIA di Trapani ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di Nicolò Clemente, 50enne di Castelvetrano, noto imprenditore edile, ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso, e un provvedimento di sequestro preventivo delle società CALCESTRUZZI CASTELVETRANO s.r.l., avente ad oggetto il commercio di conglomerati cementizi, e CLEMENTE COSTRUZIONI s.r.l., impegnata nell’attività di movimento terra ecostruzione generale di edifici, entrambe con sede in Castelvetrano e a lui riconducibili.
L’operazione odierna si inserisce nell’ambito delle numerose iniziative investigative, sia preventive che giudiziarie, condotte dalla DIA, sotto la direzione della DDA di Palermo, tese a disarticolare la rete dei consociati mafiosi più “vicini” al latitante Matteo Messina Denaro, attraverso l’individuazione e l’eliminazione dal mercato delle imprese mafiose che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario dell’organizzazione mafiosa castelvetranese.
Le attività d’indagine che hanno portato all’arresto di Nicolò Clemente e al sequestro delle sue aziende, sono scaturite dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa e, in misura minore, da Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che hanno indicato Clemente come una delle più attive espressioni imprenditoriali di quel sodalizio, capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata e nel commercio del conglomerato bituminoso, al fine di assicurare alla citata famiglia significative risorse finanziarie.
Tratto caratteristico dell’operatività del mandamento mafioso di Castelvetrano è, infatti, la presenza nel tessuto organizzativo della consorteria di mafiosi-imprenditori, che, all’evidenza sfruttando la forza di intimidazione promanante da un sodalizio resosi responsabile notoriamente di gravissimi fatti di sangue, hanno finito per soffocare ogni possibilità di libera esplicazione dell’iniziativa economica nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo.
Il nucleo famigliare di Nicolò Clemente è stato da sempre parte dello zoccolo duro dell’associazione mafiosa attiva nella città di Castelvetrano. Il fratello Giuseppe, associato di primissimo rango e facente parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici di Matteo Messina Denaro, fu condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e per alcuni omicidi, commessi in concorso proprio con il boss latitante. Pericoloso killer di cosa nostra trapanese, Giuseppe esercitò l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, Giuseppe, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, proprio nel giorno del compleanno dell’amico Matteo Messina Denaro, scongiurando definitivamente il pericolo di poter cedere alla tentazione
di collaborare con la giustizia, circostanza vissuta con grande timore dall’associazione mafiosa e dalla sua stessa famiglia.
I fratelli Giuseppe e Nicolò Clemente, sono figli di Domenico, cugino dello storico capo mafia Giuseppe Clemente, (classe 1927), condannato per essere stato “capo decina” della famiglia mafiosa di Castelvetrano, all’epoca in cui tale sodalizio, nonché l’intero mandamento di Castelvetrano, erano diretti da Francesco Messina Denaro, padre di Matteo.
Il legame tra le famiglie Clemente e Messina Denaro, risalente nel tempo, risulta anche di tipo imprenditoriale nella società “ENOLOGICA CASTELSEGGIO
s.r.l.”, attività costituita negli anni ottanta, oggi definitivamente confiscata in quanto diretta espressione delle famiglie mafiose di Castelvetrano e strumento per riciclare il denaro di provenienza delittuosa. L’elenco dei soci era del tutto sovrapponibile a quello dei più importanti rappresentanti delle famiglie mafiose di Castelvetrano.
Le indagini hanno dimostrato che Nicolò Clemente, forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Matteo Messina Denaro, ha nel tempo sistematicamente partecipato, attraverso le due aziende oggi in sequestro, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso/imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a Nicolò Clemente, gli imprenditori
Giovanni Filado, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa e Rosario Firenze (i primi tre condannati definitivamente per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e Firenze attualmente detenuto per il medesimo reato, con condanna di primo grado).
Nicolò Clemente è risultato pienamente inserito nel contesto mafioso-imprenditoriale castelvetranese attraverso una logica spartitoria ispirata dai vertici della famiglia mafiosa (tra tutti il latitante ed i suoi parenti in libertà) ed attuata mediante il sistematico ricorso alla violenza e alla minaccia nei confronti dei committenti riottosi a piegarsi di fronte alla sua caratura mafiosa. Il controllo del territorio veniva delineato “…come quannu lu attu va
pisciannu dunni va camminannu…” (come fa il gatto che urina per delimitare il proprio territorio), manifesto programmatico confessato dallo stesso Clemente nel corso di un dialogo di rara chiarezza e forza probante.
Tra i principali elementi probatori, richiamati nel corpo del provvedimento cautelare, spicca il rapporto di “collaborazione” di natura fiduciaria tra Nicolò Clemente e Vito Cappadonna, condannato per aver aiutato Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza, mettendogli a disposizione vari alloggi e fungendo da vivandiere e co-detenuto del fratello Giuseppe Clemente.
Assai significativa è anche la vicenda, riscostruita nel corso delle indagini, relativa ad una richiesta di “messa a posto” che Nicolò Clemente “subiva” dalla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo per dei lavori pubblici appaltati in quel territorio (secondo la regola per cui anche le imprese mafiose pagano il pizzo per i lavori pubblici appaltati in territorio di altra famiglia mafiosa), cui l’imprenditore castelvetranese si sottraeva
adducendo di essere finanziariamente impegnato nel sostentamento degli affiliati della famiglia di Castelvetrano.
Attività di sostentamento che veniva espressamente attribuita da Cimarosa a Clemente nel corso di un colloquio registrato in carcere nel 2014, laddove il detenuto affermava che Patrizia Messina Denaro (arrestata dalla DIA di Trapani nel 2013), sorella del boss latitante, aveva ricevuto denaro da Nicolò Clemente (oltre che da Rosario Firenze), ovvero dagli imprenditori che in quel momento si spartivano le commesse controllate dalla famiglia mafiosa di Castelvetrano.
Le attività d’indagine hanno anche documentato alcuni riservati summit mafiosi cui hanno preso parte Nicolò Clemente e Dario Messina, presunto reggente della famiglia mafiosa di Mazara, recentemente sottoposto a fermo nell’ambito dell’operazione “Annozero”, nel corso dei quali si discusse della spartizione, tra le imprese di cosa nostra, delle commesse legate a lavori edili nel territorio mazarese.
Nel corso dell’operazione la DIA di Trapani, congiuntamente allo SCO e alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, ha eseguito anche diverse perquisizioni locali nei confronti di presunti esponenti mafiosi castelvetranesi.