Proprio nei giorni in cui la Sicilia si prepara a ricordare il 26° anniversario della strage di Capaci con iniziative e manifestazioni volte a ribadire il valore della memoria e dell’impegno contro la criminalità organizzata, l’opinione pubblica si ritrova a fare i conti con gli echi di una nuova inchiesta giudiziaria che mette sotto accusa soggetti che, spesso immeritatamente, sono stati considerati “paladini dell’antimafia”.
L’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, però, sembra davvero destinata a far saltare il banco di un certo tipo di narrazione affermatosi negli ultimi anni. La svolta antimafia di Confindustria, poco più di 10 anni fa, sembrava il giusto, seppur tardivo, riconoscimento morale a quegli imprenditori (come Libero Grassi) che avevano avuto il coraggio di denunciare le richieste estorsive dei mafiosi fronteggiando anche l’infame isolamento delle associazioni di categoria. Una speranza purtroppo infrantasi contro le inchieste degli ultimi anni, che stanno dimostrando come per molti imprenditori siciliani la bandiera della legalità e dell’impegno civile fossero solo comodi passamontagna dietro cui celare le proprie ambizioni di potere.
Accanto agli industriali si sono poi accreditati pezzi di classe dirigente, da Crocetta a Lumia, che dopo anni di apparentemente sincero impegno antimafia sono passati all’incasso sul fronte politico, guadagnando posizioni che hanno loro consentito di insediare un nuovo “circo magico” e un modus operandi rivelatosi (salvo qualche eccezione) clamorosamente deludente. E la rivoluzione, a cui avevano guardato con speranza tanti siciliani onesti, è stata utile soltanto ad accantonare alcuni alfieri del precedente (e altrettanto fallimentare) sistema per sostituirli con altri. Per il resto, solo fumo negli occhi e tanta, tanta confusione. Sbaglia però chi ritiene che questo scempio abbia riguardato solo la Regione: perchè nessun settore è purtroppo rimasto immune da schizzi di fango che hanno compromesso la credibilità dell’antimafia. Il caso Saguto e la gestione dei beni confiscati, gli arresti di sindaci e consiglieri comunali che si autoproclamavano alfieri della legalità, le contraddizioni all’interno di alcune frange dell’associazionismo, del mondo ecclesiastico e persino dell’informazione: tutti fattori di uno scenario apocalittico, che ha fatto saltare tante certezze e fatto crescere dubbi e sospetti a dismisura.
Difficile capire da dove si possa ripartire a questo punto. Per fortuna, proprio gli anniversari dietro l’angolo possono aiutarci a trovare una risposta. E allora non ci resta che tornare a Giovanni Falcone, la nostra stella polare, esemplare testimonianza di serietà e rigore da opporre a superficialità e strumentalizzazioni. Una lezione, quella di Falcone, che fortunatamente ha trovato tanti allievi a cui tocca adesso un’opera di paziente bonifica per restituire alla parola antimafia la dignità che merita.