Marsala ha deciso, su iniziativa privata, di ricordare Tullio De Mauro, cittadino onorario marsalese, con la rassegna “Approdi Culturali”, il cui primo incontro si è tenuto sabato 10 marzo nel laboratorio artistico di Sal Giampino e Anna Ruggirello.
Ho accolto con piacere l’invito dell’infaticabile studioso Nino Contiliano a partecipare al primo incontro, in veste di relatore, in cui si è discusso dell’importanza della lingua, del linguaggio e del potere manipolatorio di cui la politica e l’economia fanno largo uso attraverso questi indispensabili strumenti di comunicazione.
De Mauro, oltre agli indubbi meriti scientifici nel campo della linguistica, ricordiamo la fondamentale opera “Storia linguistica dell’Italia Unita” del 1963 e la prefazione al “Corso di Linguistica generale” di Ferdinand De Saussure, ha avuto un ruolo primario nella divulgazione dell’importanza del linguaggio, come snodo tra la società e la cultura.
Ha condotto un’analisi sui livelli di analfabetismo nel nostro Paese, concentrandosi in modo particolare su quello che è definito ‘analfabetismo funzionale‘, vale a dire l’incapacità di passare dalla lettura alla comprensione di un testo anche semplice. Le persone afflitte da analfabetismo funzionale non sono in grado di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.
Non si può non pensare che una condizione di analfabetismo così diffuso non abbia delle pesanti ripercussioni anche sullo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Basti pensare che, sempre secondo De Mauro, meno del 30% capisce come funziona la politica italiana e, all’interno di questa parte della popolazione meglio alfabetizzata, solo una modesta percentuale, probabilmente circa il 10%, capisce le lingue straniere e i linguaggi tecnici, spesso utilizzati dai nostri politici anche per fare le leggi. La situazione, come ricordava l’illustre studioso, è dunque allarmante: il 70% della popolazione si informa e vota possedendo solo una capacità di analisi elementare. Eppure, di fronte a dati così gravi, i primi tagli che i governi attuano sono quelli alla cultura. Perché? Forse perché gli unici a guadagnarci in una situazione di questo tipo sono proprio i nostri politici. “L’analfabetismo è un instrumentum regni (uno strumento per governare), un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni”. E finché le persone che ci governano trarranno benefici dall’ignoranza degli italiani, diceva De Mauro, state pur certi che nessuno di loro avrà voglia né interesse a curare questa piaga sociale. “La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa”, “se questo non c’è, le istituzioni democratiche – pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi – sono forme vuote”. Prima ancora del deficit di informazione, dunque, alla radice del “caso Italia” c’è un problema di formazione, anzi meglio: di istruzione primaria.
Un analfabeta funzionale, ci ha ricordato l’OCSE, è anche una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status su Facebook, non capisce però i termini di una polizza assicurativa o il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico. Non è capace, quindi, di leggere e comprendere la società complessa nella quale si trova a vivere.
Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette e non è capace di costruire un’analisi che tenga conto anche delle conseguenze indirette, collettive, a lungo termine, lontane per spazio o per tempo.
Anche dopo avere acquisito buoni livelli in età scolastica, in età adulta le popolazioni sono esposte al rischio della regressione verso livelli assai bassi di alfabetizzazione – analfabetismo di ritorno – a causa di stili di vita che allontanano dalla pratica e dall’interesse per la lettura o la comprensione di cifre, tabelle, percentuali. In questi stili di vita, ha osservato De Mauro, ci si chiude nel proprio particolare, si sopravvive più che vivere e le eventuali buone capacità giovanili progressivamente si atrofizzano e, se siamo in queste condizioni, rischiamo di diventare, come diceva Leonardo da Vinci, transiti di cibo più che di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale.
In altre parole, se gli italiani non fossero in massa degli analfabeti funzionali, potrebbero agire elettoralmente a proprio vantaggio.
Se vogliamo che le conoscenze necessarie a sopravvivere in questo mondo complesso si diffondano, occorrono, diceva De Mauro, tre cose: volontà di imparare, volontà di insegnare, e una lingua adatta allo scopo. E di tutto ciò, purtroppo, non vi è la minima traccia.
De Mauro ha posto l’accento sulla necessità di una crescita collettiva del Paese attraverso la lingua e il linguaggio, sforzandosi di fare comprendere che soltanto l’intellettualizzazione di massa – cosa ben diversa dalla cosiddetta buona scuola, da lui aspramente criticata – può esimerci dal farci rimanere una massa acritica di soggetti che credono di partecipare attivamente ai meccanismi democratici di formazione del potere politico, dai quali, per i motivi accennati, è invece drammaticamente esclusa.
Fabio D’Anna