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Il bullismo a Marsala

Le baby gang, ennesimo pessimo termine preso a prestito dalla lingua inglese – paradosso inarrestabile per un popolo che, come il nostro, non sa parlare bene nemmeno l’italiano – e che si potrebbe benissimo tradurre in bande giovanili, sono balzate ormai agli onori della cronaca anche nella ridente città lilibetana.

Si tratta di un bullismo estremo accompagnato – come nel recente caso del pestaggio avvenuto in città ai danni di un giovane malcapitato, che è stato selvaggiamente picchiato da un altro coetaneo – dal dileggio dei compagni dell’assalitore, alcuni anche di sesso femminile che, non paghi di assistere con sadico compiacimento all’aggressione e alle minacce, si attivano prontamente per ritrarre in video l’insano gesto del bullo.

Del bullismo, pianta malata che esiste anche a Marsala da diversi anni, ho scritto – mi si perdoni la citazione – nel libro “ Il Marsalese atto secondo. L’identità universale del provinciale”, edito nel 2016 dalla casa editrice Tazebao. Non sembra fuori luogo allora riprodurre in questa breve analisi quanto scritto che, purtroppo, si è rivelato tristemente profetico.

Cos’è il bullismo, mi chiedevo?

Il bullismo, pianta malata e indice d’inconsapevole nichilismo distruttivo, nonché di malcelata afasia emotiva, ha fatto capolino, trovandosi a suo agio, anche tra i giovani marsalesi contribuendo energicamente a costruirne una finta identità universale, poiché comune a quella di tante altre comunità. Spesso si annida nelle scuole, anche in quelle più formalmente blasonate del centro storico, ma come avviene spesso con tutti fenomeni che si agitano all’interno delle mura antiche della città, e che possono contribuire al discredito sociale, è talmente sminuito davanti all’opinione pubblica da essere occultato.

L’ignavia degli educatori, dei dirigenti, e persino dei genitori che allevano i bulletti ruspanti, che Dante collocherebbe nell’Antinferno, fa il paio con i finti modelli machisti e la logica della giungla trasmessa dalle immagini propinate dai mass media e dagli adulti sconfitti dalla vita che, al contrario, pensano di dominare.

A Marsala gli episodi di bullismo giovanile, che spesso si sono trasformati in vere e proprie aggressioni fisiche, anche nel corso della movida notturna tra le affollate strade del centro storico, meriterebbero di essere acutamente analizzati dalle autorità politiche, dalle scuole, dai servizi sociali e dalle famiglie.

Nulla di tutto questo è, purtroppo, avvenuto. I politici sono troppi presi dagli interessi personali o di partito e le scuole sono intente a fare orecchio da mercante per evitare di essere travolte dal discredito sociale. Anche i servizi sociali latitano e le famiglie sono sempre più protese ai successi professionali dei genitori più fortunati e a sbarcare il lunario per quelli meno baciati dalla dea bendata. I tutori dell’ordine pubblico, infine, si muovono a stento tra i problemi di bilancio e adeguate guide organizzative.

Nessun autentico sforzo di capire le ragioni del bullismo, nessuna seria indagine, all’infuori dei convegni di facciata, di studiarne le origini e gli elementi che alimentano questa mina vagante del benessere sociale.

Dove si trovano i bulli a Marsala? E’ solo un problema che riguarda i giovani che vivono nelle periferie e che scontano la difficoltà del vivere quotidiano? No, di certo, crescono indisturbati anche nelle famiglie di medio e alto livello socio- economico- culturale, almeno di facciata, e si ritrovano tra gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, inclusi i licei.

Qualche analista della domenica ha tentato, per difendere l’aura immarcescibile del marsalese, di ridurre il problema del bullismo alla ghettizzazione socio-geografica, confinandolo nelle aree disagiate dei quartieri popolari, spesso costruiti colpevolmente per isolarli dal resto della città. Ma il malriuscito tentativo è soltanto un comodi alibi per evitare di vedere ciò che ci circonda e continuare a mantenere la testa sotto la sabbia, indugiando pigramente ad un pregiudizio impregnato di razzismo sociale.

Il nodo, infatti, come ben messo in risalto dagli analisti più scrupolosi, ha matrici che affondano le radici nel tipo di educazione ricevuta dai bulli, che s’imbevono della logica rassicurante del branco per sollevarsi dal senso di vuoto interiore che li connota. Sono giovani malati che, anche nelle scuole marsalesi, scatenano la loro violenza verbale e fisica nei confronti di ogni diverso, sia esso omosessuale, straniero migrante o adottato, oppure nei confronti di chi è isolato e non inserito nei gruppi dominanti della scuola o degli ambienti sociali che frequenta.

I bulli sono giovani incapaci di distinguere il bene dal male, di apprezzare il disvalore sociale, umano e giuridico delle condotte aggressive che realizzano tra un bicchiere e l’altro, tra una canna e l’altra.

Se tutto è permesso e nulla è percepito come sbagliato, se oltre alla prevenzione difetta anche la repressione, si è alla logica della giungla dove prevale il più forte almeno fino a quando qualche insegnante o genitore non riesca a inculcare l’idea che i più deboli, in realtà, sono i malati di bullismo, perché incapaci di capire cosa farne della loro giovane e vuota esistenza.

Ma il marsalese, eterno edonista provinciale, attento fino all’inverosimile a nascondere ogni minima macchia del tessuto sociale di cui riveste la propria vita di relazione, non può intaccare l’immagine stereotipata che ha di sé: quella di un fenotipo che vive in un paradiso terrestre e che, più di ogni altro, pensa di meritare.

La nebbia dell’indifferenza avvolge le vittime del bullismo, lasciate in balia di se stesse o dei poveri genitori che cercano di destare invano l’allarme sociale. Chi, per sventura, si ritrova a subire una violenza è costretto a trovare da solo la forza per non soccombere, a volte maturando più in fretta dei loro coetanei, ma con un velo di tristezza che avvolge il volto e che lo rende, nel tempo dell’età in cui il disincanto dovrebbe cedere il posto allo stupore dei nuovi incontri, muto testimone di una malcelata e insidiosa ingiustizia sociale.

Riuscirà il recente episodio di violenza a svegliare le sopite coscienze dei marsalesi e delle istituzioni politiche, scolastiche e socio-culturali che – a ogni livello – li governano?

La speranza, si sa, è l’ultima a morire, ma è perimenti indubitabile che nessun serio tentativo in questo senso è mai stato fatto, e i pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Fabio D’Anna

redazione

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