Dubito seriamente che esista un siciliano che non abbia “battezzato” il proprio palato deliziandolo con una soffice panella.
Quel quadratino giallo che da sempre esiste agli angoli delle strade ha fatto la storia della cucina povera dell’isola: in principio era il “pane e panelle” e l’incontro col gusto doveva avvenire esclusivamente nei luoghi deputati, ovvero il panellaro, al cui cospetto si svolgeva il rito del consumo, per poterla gustare nel pieno della sua fragranza. Oggi invece la panella si è… imborghesita, si è sganciata dalla rosticceria e la si trova sulle tavole di casa propria, facilmente preparabile o come antipasto sfizioso nei ristoranti o (di tendenza) nei pranzi di nozze.
Personalmente collego i primi ricordi col pane e panelle agli anni delle elementari, quando, prima di entrare a scuola entravo al mercato e andavo al chiosco dello “zio Ciccio” a comprare un panino piccolo, quello da cinquanta lire, che teoricamente doveva essere consumato alla ricreazione ma che regolarmente veniva lentamente “sminuzzato” e divorato prima del suono della campanella!
Era un appuntamento fisso, quotidiano, quasi una droga che mi ha accompagnato negli anni: ancora oggi quando addento una panella torno indietro nel passato e come in un dejà vu, torno a vivere i miei ricordi. E’ come se ad ogni panella fosse legato un ricordo, un istante della mia esistenza. Sacralità, sinestesia di sapori e profumi.
Oggi lo “zio Ciccio”, al secolo Francesco Messina, è un arzillo ottantenne che passa sovente dalla mia farmacia ed ogni tanto mi regala un panetto di panelle che accetto con gioia e porto a casa mia. Mia moglie Sonia lo frigge e lo mangia insieme a me, gustandolo, ma lei è napoletana e non so se riesce a provare le stesse sensazioni del mio palato ma sopratutto le stesse emozioni della mia mente. Il suo è un gusto smorzato e io soffro per lei.
Qualche giorno fa lo zio Ciccio è passato dalla farmacia ed io ho voluto invertire i ruoli offrendogli un panino dal panellaro di Amabilina, quasi a volermi sdebitare delle centinaia di panelle che lui mi ha regalato negli anni: si è emozionato e mi ha raccontato di quando lui e sua moglie, la “zia Maria”, avevano il chiosco al mercato.
La loro giornata cominciava il pomeriggio precedente, quando cuocevano la farina di ceci (che si andava a comprare con il treno a Palermo, in sacchi da venticinque chili che portava sulle spalle) con un continuo rimestare con un paiolo nel suo antro, davanti alla pentola fumante, spesso su fuoco a legna. ” Poi mettevo a raffreddare l’impasto coperto con una “mappina” e solo quando diventava maneggiabile cominciavo a lavorare le panelle; ma non si doveva perdere l’attimo fuggente, perchè se si aspettava troppo l’impasto induriva e diventava utile solo per farci la “rascatura”, roba da morti di fame”. Quello che in realtà, aggiungo io, risulta essere l’articolo più gustoso per una fantastica perversione alimentare…
E poi la mattina al mercato. Ricordo l’ingresso, gli odori ed il vociare dei pescivendoli: mi dirigevo subito a sinistra, verso il chiosco, ma prima di avvicinarmi restavo ammaliato nell’osservare lo zio Ciccio e la zia Maria in quel bugigattolo di pochi metri quadri. Si davano il cambio in continuazione con movimenti ritmici, come in una danza sinuosa, accompagnati dalla musica che sprigionava dalle panelle che friggevano nell’olio bollente. “Movimenti che mi hanno accompagnato per una vita intera, sin da piccolo, quando andavo a lavorare da altri panellari: ricordo Marchese a Porta Mazara o Pellegrino “fungiddra” nel chiosco in muratura nella piazzetta del Collegio”. Poi la grande avventura, il mettersi in proprio, nel 1969, con grandi sacrifici ma con tante soddisfazioni. Nel 1988 l’attività fu rilevata dai figli, che, però dopo qualche anno abbandonarono la professione per trasferirsi in Svizzera. “Non sapevano ballare…”.
Grazie, zio Ciccio, per avermi regalato tanti ricordi, per avermi insegnato a gustare le panelle in modi diversi, talvolta col pepe o con il limone, per avermi donato la capacità di tornare a vivere delle belle sensazioni e piacevoli ricordi di profumi, colori ed amabili conoscenze, semplicemente sfiorando con le labbra quel quadratino giallo…
Piero Pellegrino