Giuseppe De Marzo: “Contro la crisi, più diritti e democrazia”

Vincenzo Figlioli

Giuseppe De Marzo: “Contro la crisi, più diritti e democrazia”

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sabato 22 Luglio 2017 - 07:30

Il responsabile politiche sociali di Libera a Marsala per presentare la Rete dei Numeri Pari

Questo pomeriggio, a partire dalle 19, Giuseppe De Marzo sarà protagonista di un evento che si terrà presso il Convento del Carmine di Marsala. Un’occasione per parlare di povertà, giustizia sociale, reddito di dignità, lotta per i diritti, contrasto alla mafia. Responsabile politiche sociali di Libera, De Marzo è economista, scrittore e instancabile promotore della Rete dei Numeri Pari, che sta portando avanti un modello culturale alternativo – in economia e nel sociale – per combattere la crisi economica e i suoi effetti.

Come nasce la Rete dei Numeri Pari?

Nasce dopo l’esperienza della campagna “Miseria Ladra” lanciata quattro anni fa da Libera e Gruppo Abele. Mette assieme realtà di base impegnate a contrastare le diseguaglianze e a lavorare al fianco delle vittime. La Rete si lega inoltre ai Movimenti Popolari della Terra che a novembre hanno incontrato Papa Francesco, portando avanti obiettivi condivisi a livello planetario, come l’affermazione della giustizia sociale e della giustizia ambientale. La Rete dei Numeri Pari parte da 4 gambe: l’antimafia sociale, la cooperazione sociale, il mutualismo sociale e le reti studentesche. Partendo dal diritto allo studio, i diritti sociali, la libertà e la solidarietà proponiamo dal basso un punto di vista unitario per contrastare povertà, mafie e corruzione. Per noi le politiche di austerità sono il male assoluto e occorre rimettere al centro i diritti fondamentali.

Quanto serve per le politiche di sostegno al reddito che proponete?

Servono 15 miliardi.

Com’è possibile reperire questa somma?

I 9,1 miliardi per gli 80 € e i 12,5 miliardi di decontribuzione per il jobs act che impatto hanno avuto? Zero! I soldi ci sono, ma le priorità politiche sono state altre: salvare le banche o vincere le elezioni. E i 5 milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta li bruciamo? Attualmente esistono tre tendenze: il darwinismo sociale, l’universalismo selettivo e l’istituzionalizzazione della povertà. L’Europa dice invece che l’offerta lavorativa dovrebbe essere congrua, altrimenti l’ascensore sociale si blocca, com’è accaduto in Italia. Tutto ciò penalizza soprattutto il Sud: le politiche di sostegno al reddito sarebbero la prima forma di contrasto alle mafie. Senza politiche sociali, la lotta alle mafie diventa impari. Perchè dove non arriva lo Stato, arriva lo “zio”. Occorre potenziare il fondo per le politiche sociali che ha subito tagli pari all’83% in Italia negli ultimi anni e questo ci è valso due condanne da parte dell’European Social Policy Network. Un’altra proposta che lanciamo sul piano nazionale prevede l’eliminazione dell’obbligo del pareggio di bilancio, che è stato inserito all’interno della nostra Costituzione all’epoca del governo Monti, penalizzando in particolar modo i Comuni, che hanno subito tagli ai trasferimenti per 19 miliardi di euro. Eppure ai tempi di Berlusconi il debito era al 117% e adesso siamo arrivati al 133,6%. A cosa sono serviti i nostri sacrifici? Noi siamo per la modifica degli articoli 81, 97 e 119.

In tutto ciò, c’è poi la piaga della corruzione: quanto incide su questa situazione?

La corruzione è una conseguenza. Per molti italiani rappresenta una scorciatoia. Se muiono i diritti, si torna al diritto naturale. L’aumento delle diseguaglianze è frutto dell’austerità, del debito, dell’assenza di politica industriale, della devastazione delle politiche sociali.

Si dice spesso che è l’Europa a chiederci questi sacrifici…

In realtà non è vero. Le politiche dell’austerità hanno prodotto 200 miliardi di tagli in tutta Europa. Tuttavia, in altri Paesi sono stati adottati provvedimenti che hanno portato a una riduzione della povertà: in Spagna c’è stata una riduzione del 38%, in Italia – nello stesso periodo – siamo arrivati al 5%. Il presidente Alleva per due volte in Parlamento ha detto che il nostro sistema di welfare non funziona. Occorre investire di più sul welfare e tagliare l’obbligo del pareggio di bilancio. Altrimenti nei Comuni non eleggeremo più sindaci, ma liquidatori fallimentari della democrazia. Non a caso, molti sindaci hanno aderito alla campagna Miseria Ladra. La Rete sta inoltre cercando di riportare attenzione intorno alla questione meridionale: negli anni della crisi sono aumentate le diseguaglianze e la povertà. Nel frattempo sono diminuiti i trasferimenti. La politica dovrebbe avere una visione per il futuro e chiedersi: andando avanti così, che succede tra 10 anni?

Come se ne esce?

Se ne esce se smettiamo di delegare aspettando il capo e ricominciamo a partecipare. Se tutti avessero fatto il loro dovere non ci ritroveremmo tutte queste forze politiche che lavorano sulla pancia delle persone. Occorre costruire azioni collettive, non individuali: purtroppo non siamo riusciti a politicizzare la crisi sul tema delle diseguaglianze.

Come mai è accaduto questo?

Negli ultimi 20 anni c’è stata una forte personalizzazione che ha spoliticizzato il dibattito. Si è puntato sulla narrazione, lo storytelling delle tv generaliste. La crisi dimostra altro: i cittadini partecipano se possono decidere e contare. Non a caso, metà degli italiani non va più a votare. I partiti sono diventati lobby e al loro interno non c’è più approfondimento. Le forma attuali della politica presentano ormai un’offerta inadeguata, che non soddisfa gli italiani. A ciò si aggiunge che nel nostro Paese è in atto una criminalizzazione della solidarietà. Per uscire dalla crisi c’è chi propone meno diritti e meno democrazia, noi proponiamo invece più diritti e più democrazia. Perchè se è vero che in Italia la crisi ha triplicato il numero di coloro che vivono in uno stato di povertà assoluta, è vero anche che nello stesso periodo si è triplicato il numero di miliardari. Fortunatamente, però, ci sono ancora forme di mutualismo che dimostrano l’esistenza di una geografia della speranza che vede impegnate, dalla Sicilia al Friuli, realtà meravigliose impegnate nei diritti e nell’antimafia. Facciamo nostro, dunque il motto di don Milani, che diceva: “dalle crisi si esce insieme”.

Che differenza c’è tra reddito di dignità, reddito di cittadinanza e reddito di inclusione?

Il reddito di dignità che proponiamo noi si basa sull’articolo 34 della Carta di Nizza, partendo dal lavoro fatto dai giuristi del Basic Incom Network, che propone risposte di sostegno al reddito. Il reddito di dignità sta in questa logica, che si lega anche alla Costituzione Italiana e a quella Europea. Si rivolge prevalentemente a chi cerca un lavoro e non lo trova ed è povero. Il reddito di cittadinanza, proposto dal Movimento 5 Stelle si rivolge a un bacino più ampio e prevede investimenti maggiori, ma anche il superamento dei sindacati. Il reddito di inclusione su cui ha puntato il governo poteva anche andar bene, ma non con un investimento di 1,2 milardi. Ne servivano almeno 7.

Cosa vi aspettate da Marsala?

Ci aspettiamo che in un territorio così ricco di esperienze sociali, ci si ritrovi assieme su più fronti: nell’interlocuzione con le istituzioni locali, per promuovere sforzi adeguati sulle politiche sociali; nella costruzione dal basso, assieme alle realtà esistenti, di reti di mutualismo che sappiano dare risposte ai giovani che cercano e non trovano lavoro. Il nostro obiettivo è collegare la rete al resto del Paese. Viceversa, continuando così, nei prossimi 10 anni vedremo aumentare paura e ignoranza. E in situazioni del genere, fascismi e svolte autoritarie sono dietro l’angolo.

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