C’è un dato che emerge in maniera prepotente dalle amministrative di domenica per quel che concerne la provincia di Trapani: la caduta rovinosa e per certi versi imprevista dell’uomo che per oltre 20 anni ha rappresentato il punto più alto del potere in provincia di Trapani. Dal 1994 Antonio D’Alì è stato capace di vincere tutte le competizioni elettorali con ampio margine sui contendenti, riuscendo a ottenere messi di voti ben al di là della sua città. Due esempi per capire, numeri alla mano, di cosa stiamo parlando: nel 2001, candidato al Senato nel collegio uninominale che comprendeva l’intera provincia di Trapani, Antonio D’Alì ottenne 63.661 preferenze; nel 2006, da candidato alla presidenza della Provincia, raccolse 127.511 voti. Un consenso capillare, che lo ha reso per 23 anni l’uomo di fiducia di Silvio Berlusconi nel trapanese. Ventitrè anni trascorsi ininterrottamente a Palazzo Madama, arricchiti da altri incarichi di prestigio (tra cui spicca quello come Sottosegretario agli Interni, dal 2001 al 2006), ma anche dalla capacità di condizionare gli equilibri politici del territorio, dettando legge all’interno del proprio schieramento e influendo anche sui campi avversari. Uno strapotere che pochi hanno realmente cercato di contrastare nei fatti, preferendo spesso sedersi al tavolo delle trattative per ottenere qualche “piatto di lenticchie” nell’ambito di accordi privati alimentati da interessi trasversali che facevano parte dell’indicibile della politica trapanese.
Vedere dunque Antonio D’Alì raccogliere appena 7797 voti da candidato sindaco della sua città è un risultato che segna una svolta epocale e che da un punto di vista politico assume un’importanza di gran lunga superiore a tutto il resto. La disfatta del senatore trapanese è chiaramente la fine di un’epoca, caratterizzata dall’adesione pressochè incondizionata al berlusconismo e a una certa idea di gestione del potere, in cui valeva la pena organizzare grandi eventi e realizzare grandi opere senza farsi troppi scrupoli, nella convinzione – per dirla con l’ex Ministro Pietro Lunardi – che con la mafia bisognava convivere. E, in effetti, non si ricorda una sola azione contro Cosa Nostra da parte del senatore trapanese in 23 anni di potere, in una provincia ad alta densità criminale. Si ricorda invece la controversa vicenda del trasferimento del prefetto Sodano o la mancanza di attenzione di fronte alle richieste di “più uomini e mezzi” che arrivavano da sindaci e rappresentanti della società civile per combattare la mafia. E poi c’è la questione del processo per concorso esterno in associazione mafiosa, che lo ha visto assolto per le situazioni contestate dopo il 1994 e la prescrizione per quelle precedenti. Se oggi, dunque, la politica trapanese ha visto cadere il suo leader più influente, appare lecito interrogarsi su cosa avverrà dopo. Con la sensazione che saranno le prossime regionali, ben più del ballottaggio del 25 giugno, a determinare la nuova mappa del potere in provincia di Trapani.