Alcamo: il Consiglio approva un debito fuori bilancio di 225 mila euro. L’Ente non si costituì in giudizio

redazione

Alcamo: il Consiglio approva un debito fuori bilancio di 225 mila euro. L’Ente non si costituì in giudizio

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venerdì 26 Maggio 2017 - 07:33

Presso l’ufficio di segreteria del Comune di Alcamo non è stato rintracciato alcun fascicolo relativo alla causa intrapresa da 25 agenti della polizia municipale, con contratto a tempo determinato, che presentarono ricorso il 10 maggio del 2016. L’Ente, venuto a conoscenza “in extremis” del contenzioso, chiederà alla Corte d’Appello la sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado notificata lo scorso marzo

Durante il Consiglio Comunale, svoltosi nella serata di mercoledì, sono stati deliberati quattro debiti fuori bilancio, di cui uno pari a 224.500 euro, approvato con 17 voti favorevoli ed un astenuto (Giovanni Calandrino di Sicilia Futura), che ha destato non poche polemiche e perplessità tra le forze politiche presenti. Si è trattato, in particolare, del riconoscimento di un debito derivante dalla sentenza emessa dalla sezione lavoro del Tribunale di Trapani, lo scorso 30 dicembre, la quale trae origine dal ricorso presentato da 25 agenti della polizia municipale di Alcamo, con contratto di lavoro a tempo determinato e con monte orario ridotto (sei unità assunte nel 2001 a 24 ore settimanali e 19 unità assunte 2005 a 18 ore settimanali ), che rivendicavano il pagamento, in misura piena, dell’indennità di vigilanza. Come spiegato in Consiglio comunale dalla dirigente Giovanna Mistretta, il Comune di Alcamo ha elargito, invece, detta indennità in misura ridotta, rapportata all’orario di lavoro a tempo parziale, sulla scorta di un parere dell’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni). Il funzionario comunale ha premesso, nella sua ricostruzione della vicenda, che l’avvocatura comunale non si occupa di contenziosi di lavoro, in quanto nei procedimenti giudiziari innanzi al giudice del lavoro, limitatamente al primo grado di giudizio, il compito viene assegnato al segretario generale. Nel caso di specie, il ricorso introduttivo, presentato dagli agenti della polizia municipale, è stato protocollato il 10 maggio del 2016, con intestatario la dipendente Maria Vella, alla pec dell’ufficio protocollo e non al Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici), come previsto dalla legge. Allo stesso tempo, è stato assegnato all’allora segretario protempore, Cristofaro Ricupati, all’avvocatura e al dirigente delle risorse umane. Nessuna deliberazione di autorizzazione a costituirsi in giudizio è stata rintracciata, inoltre, quando è emerso, tardivamente, che il Comune non si era costituito in giudizio. Così come nessun fascicolo sulla causa in questione è stato rivenuto. Infatti, sempre secondo quanto riferito dall’avvocato Mistretta, il segretario generale Ricupati, a fine incarico, nel settembre 2016, non fece le consegne dei fascicoli concernenti le cause di lavoro. Quando il vice segretario generale, il dirigente Maniscalchi, in sua sostituzione, trasmise all’ufficio legale tutto l’elenco de ricorsi e dei procedimenti pendenti, la causa di cui in oggetto non era inserita in tale elenco. A questo strano inghippo, si è aggiunto anche quello effettuato dalla cancelleria del tribunale di Trapani che, erroneamente, notificò il 20 dicembre 2016 la causa a nome di Adamo Salvatore più 24 e non a nome di Vella Maria più 24, intestataria del ricorso come prima ricordato.

Dunque, nonostante il Comune avrebbe potuto costituirsi entro dieci giorni della prima udienza, inizialmente fissata al 7 dicembre 2016 e poi rinviata al 30 dicembre 2016, non essendovi fascicolo con il nome esatto dell’intestatario, la dirigente Mistretta, pur trovandosi in tribunale, non ha potuto chiedere al giudice il rinvio dell’udienza. Solamente nel mese di gennaio, a seguito della consultazione pubblica effettuata sul sito www. pst.giustizia.it e all’autorizzazione alla consultazione del fascicolo, l’avvocatura ha avuto contezza del ricorso presentato a nome di Vella Maria che prendeva spunto da una sentenza emessa nel 2015 dal tribunale del lavoro di Foggia, con la quale si stabiliva che l’indennità di vigilanza spetta in misura integrale e non frazionata, in quanto non è legata alla prestazione del servizio, ma alla funzione di vigilanza svolta a prescindere dall’orario di lavoro prestato dall’agente di Polizia Municipale. Il Comune di Alcamo, dunque, è stato condannato in contumacia (perché non costituito in giudizio per l’appunto) dal giudice del lavoro Mauro Petrusa, con sentenza notificata il 3 marzo scorso, al pagamento dell’indennità di vigilanza, per differenza sull’importo ridotto già pagato pari a 141.372,30 euro, a cui vanno aggiunti la rivalutazione monetaria, gli interessi legali, le spese processuali, oneri e contributi, per un importo complessivo di 224.500 euro. Non appena è venuto a conoscenza della sentenza, l’ufficio legale del Comune ha proposto tempestivamente l’appello, con richiesta di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado basandosi sul fatto che la notifica della controparte all’indirizzo pec errato, quindi non abilitato a ricevere atti giudiziari, dovrebbe essere nulla. Il segretario comunale, Vito Bonanno, ha affermato durante il dibattito in Aula consiliare che l’invio della delibera alla Corte dei Conti non sarà fatto sic et simpliciter. Dunque, la magistratura contabile potrebbe individuare eventuali responsabilità in merito al caso. Così ha commentato l’episodio sopracitato il consigliere comunale di Noi Per Alcamo, Francesco Dara “Le negligenze che si verificano in questa amministrazione… e per amministrazione non intendo l’Amministrazione Surdi, ma a livello generale, perché non c’entra, lo specifichiamo: non c’entra in questo aspetto. Ma il povero consiglio comunale che con tanto spirito, con tanta armonia, con tanti sacrifici cerca di aiutare a portare la croce, aiutare il popolo alcamese a stare più pulito possibile, più armonioso. E noi ci troviamo qua sempre con notizie poco gradevoli e molto spiacenti”. Poi, ha aggiunto “Ho il dovere di fare le mie lamentele che stasera vanno in due direzioni. Una alla parte tecnica, l’altra alla parte pratica, esecutiva. Ma come si fa che un’amministrazione o un comune come la città di Alcamo, con i propri dipendenti, con i diritti dei lavoratori nei contratti di lavoro, che ci stanno le organizzazioni sindacali, arriva ad un procedimento penale o a un pignoramento? Non si può amministrare quando i propri dipendenti emettono una causa del genere. Io sono convinto che i lavoratori hanno ragione, sono pienamente convinto su questo. Allora mi chiedo, perché le amministrazioni precedenti, i dirigenti non hanno riconosciuto questi diritti a questi lavoratori? Signori miei, il problema non è sui lavoratori, il risparmio non va fatto sui lavoratori, ma sullo sperpero. E che ognuno faccia il dovere sui lavoratori! Le buste paghe, i salari, chi organizza il mondo del lavoro, chi firma i contratti, è un sacrosanto (diritto n.d.r). Ma chi governa, amministra ha altri doveri. Che ognuno faccia il proprio dovere!”.

Tali dichiarazioni sono state riprese dall’esponente dei 5 stelle Filippo Salato, il quale ha affermato: “Quello che mi può preoccupare come persona, come cittadino di questo paese è la questione sotto il punto di vista sostanziale per i dipendenti, e lì riprendo il consigliere Dara. A me interessa che i protagonisti della vicenda del contenzioso vedano riconosciute le loro ragioni. Siano esse quelle del Comune o siano esse quelle dei vigili urbani che hanno appunto agito in giudizio. A me quello che può interessare, è quello che avevo fatto già trapelare in un altro in intervento, è il cambio di rotta. Io questo cambio di rotta lo sto cominciando a vedere. Non lo so se siamo all’anno zero, o se siamo all’anno zero lo posso pure accettare, ma vuol dire che prima eravamo avanti Cristo. Questo cambio di rotta lo vedo e noi su quello ci dobbiamo concentrare, visto quello che la legge consente di fare a noi consiglieri, è un po’ inutile dilungarci su questa questione. Nel senso che abbandonare l’aula (si riferisce al consigliere Giacomo Sucameli n.d.r.), meravigliandosi dell’entità di questa cifra ci può anche stare, però, si può fare una volta per protesta, lo si può fare per lanciare un segnale forte, ai dirigenti, all’Amministrazione, a chi si deve impegnare per cambiare la rotta e poi basta, perché tutti siamo ben consci. Non lo si può negare che stiamo ereditando delle situazioni che vengono dal passato. Purtroppo questi sono atti che riguardano sindaci pro tempore. Ancora non abbiamo votato atti che riguardano l’Amministrazione con la quale questo Consiglio si è insediato”. Tanti sono gli interrogativi, alcuni dei quali sollevati nel corso della discussione in Aula da diversi consiglieri comunali, a rimanere senza risposta. Innanzitutto, è difficile capire come sia potuto accadere che nessuno all’interno dell’Ente fosse a conoscenza del fatto che ben 25 dipendenti avessero intrapreso un contenzioso con quello che dovrebbe rappresentare il proprio datore di lavoro. A detti dipendenti dal 2001, e in alcuni casi dal 2005, non è stato riconosciuto, secondo quanto da loro sostenuto, un loro diritto. Perché durante questi lunghissimi 16 anni, o 10 nell’altra circostanza, tali lavoratori non hanno manifestato questo disagio? A queste domande forse un giorno, non troppo lontano, verrà data risposta e, magari, si potrà affermare senza esitazione che si è cambiata rotta.

Linda Ferrara

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