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Il ricordo di Tullio De Mauro attraverso le parole di Francesco Vinci

Lo scorso anno, com’è stato puntualmente ricordato anche dalla nostra testata, l’amministrazione Di Girolamo ha deciso di conferire a Tullio De Mauro la cittadinanza onoraria marsalese. Un riconoscimento legato alla dimensione culturale del celebre linguista, ma anche alla sua scelta di trascorrere i mesi estivi proprio a Marsala, acquistando una casa nella zona dello Stagnone. Con l’occasione ci fa piacere ricordare un’iniziativa tenutasi qualche anno prima, esattamente il 23 agosto del 2010. Quel giorno De Mauro presentò davanti a un pubblico numeroso e partecipe come poche altre volte il libro – intervista “La cultura degli italiani”, scritto assieme al giornalista Francesco Erbani. L’evento fu uno degli appuntamenti di punta della rassegna di incontri letterari “Marsala Incontra”, organizzata ogni estate dalla Libreria Mondadori e dall’agenzia Communico, con il patrocinio dell’amministrazione pro tempore (in quel periodo guidata dal sindaco Renzo Carini). Nell’occasione (come anche l’estate scorsa) De Mauro incantò la platea per circa due ore con la sua competenza e la sua lucidità, mostrando inoltre grande rispetto e attenzione per le numerose domande del pubblico e per gli interventi dei due relatori presenti, il docente dell’Università di Bologna Bijoy M. Trentin e Francesco Vinci, che coordinò i lavori. E proprio nel ricordo di quella presentazione, riproponiamo adesso l’intervento critico che Francesco Vinci scrisse quel giorno per introdurre Tullio De Mauro e il suo libro La cultura degli italiani, condivisibilmente definito “un’autobiografia intellettuale” dell’autore.

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La cultura degli italiani è un libro-intervista che si può considerare in primo luogo una sorta di autobiografia intellettuale di Tullio De Mauro, uno dei protagonisti più autorevoli e degli intellettuali più indispensabili del dibattito culturale e politico di oltre mezzo secolo di storia e cultura italiana, oltre che un nome imprescindibile per chi proviene – a vario titolo – da una formazione di stampo umanistico. Divisa in tredici capitoli tematici, la conversazione ripercorre le tappe fondamentali del lavoro di De Mauro e rappresenta – nella forma dell’intervista possibile – una vera e propria summa dei contenuti che hanno animato la sua carriera. Sollecitato dalle domande di Francesco Erbani, De Mauro parla della pluridecennale attività di studioso e di interventista (ricordo tra l’altro che i contributi scientifici di De Mauro nel campo degli studi linguistici sono stati decisivi per sprovincializzare il nostro Paese rispetto al dibattito culturale europeo negli anni ‘60), del suo incarico di Ministro della P.I. e delle posizioni in materia di legislazione scolastica (questo libro contiene un’analisi molto ragionata su quanto sta accadendo in Italia nel settore dell’istruzione), nonché della sua lunga esperienza di docente in vari atenei italiani e dei retroscena della militanza politica, con uno sguardo lucido e impietoso sulle condizioni in cui versa la stampa italiana (quello riservato ai giornali è un capitolo particolarmente fitto di aneddoti, anche molto divertenti). Fino al corposo capitolo finale in cui De Mauro riflette sul presente e sulle ultime involuzioni che riguardano la cultura del nostro Paese, attraversata con la lente d’ingrandimento, la passione e il disincanto di chi ha vissuto più di mezzo secolo di storia nazionale, non soltanto da testimone privilegiato, ma da protagonista attivo partecipe e responsabile. Tutto questo passando per Saussure, il padre della linguistica moderna, e per il ricordo personale e discreto di Mauro De Mauro, fratello di Tullio, il giornalista assassinato dalla mafia, di cui tutti conosciamo la storia. Certo – a dispetto della sua vocazione discorsiva (e dunque della sua agevole leggibilità) – il libro è anche una preziosa miniera di notizie, dati, osservazioni e rilevamenti per così dire sociologici (e bisogna ammettere, da questo punto di vista, che si capiscono molte più cose delle dinamiche civili e politiche della cultura italiana dalla lettura di questo libro che in tante analisi giornalistiche allo stato puro). Grazie a questa intervista, prendiamo atto, per esempio, del fatto che, nonostante una tradizione di eccellenze riconosciute in tutto il mondo, l’Italia risulta statisticamente inferiore a molti altri Paesi dell’UE nel livello medio dell’istruzione: gli analfabeti sono più di due milioni, cui si aggiungono i circa quindici milioni di semianalfabeti, considerando anche il fatto che le competenze alfabetiche acquisite tra i banchi di scuola, se non più esercitate, regrediscono in una misura pari a cinque anni di scuola. Per non parlare delle biblioteche pubbliche che sono presenti – secondo i dati che ci fornisce De Mauro – soltanto nel 28% dei comuni del Sud. Ma dalla conversazione viene fuori anche e soprattutto il ritratto tipico di un intellettuale ‘pratico’ e ‘impegnato’ (aggettivi che utilizzo sempre tra apici e con tutte le cautele del caso, ma che in De Mauro lasciano pochissimi margini di ambiguità), aperto alle innovazioni e sensibile al dialogo tra non addetti ai lavori. Teoria e pratica, nel metodo di De Mauro, non si limitano a convivere, ma sono da sempre inscindibili come le due facce di una pagina (per usare un’immagine cara a Saussure). Secondo l’insegnamento gramsciano – più volte evocato in questa intervista – occuparsi di strutture linguistiche significa occuparsi di strutture sociali. In oltre un cinquantennio di attività, infatti, De Mauro è stato in Italia il più naturale avversario di una cultura autoreferenziale, chiusa nel recinto degli specialismi, scontando talvolta per questo un certo isolamento anche tra i suoi colleghi e compagni di strada (come d’altronde si racconta nel libro), nonché il più convinto e agguerrito sostenitore della diffusione sociale di competenze e conoscenze. Al lavoro dello studioso si è fin dall’inizio affiancata una vasta opera di divulgazione (e parlo di divulgazione intesa come missione, secondo un’accezione che forse si è definitivamente perduta). Non è un caso che, fin dalle prime battute, De Mauro azzardi una definizione “larga” del termine cultura, intesa prima di tutto in senso antropologico, con l’auspicio di superare l’antica contrapposizione tra sapere umanistico e sapere scientifico: un aspetto fondamentale, questo, se non un vero e proprio paradigma, nel discorso di De Mauro. Un paradosso tutto italiano, per esempio, è quello che ci fa considerare colto chi riesce a citare a memoria una poesia di Montale – mentre non viene riconosciuto come intellettuale un matematico o uno scienziato.

Francesco Vinci

redazione

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