I giovani e il linguaggio

redazione

I giovani e il linguaggio

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martedì 13 Dicembre 2016 - 17:32

“I dati sono chiari, spietati nella loro oggettività, incontestabili, e ci rivelano una verità che purtroppo conoscevo già da tempo: gli studenti italiani non sanno più scrivere. In tanti anni di insegnamento, dopo aver letto e corretto migliaia di temi, posso affermare con triste sicurezza che sono pochissimi i ragazzi capaci di sviluppare un ragionamento scritto.” Con queste parole, apparse su la Repubblica del 15 marzo 2012, Marco Lodoli fa il punto sullo stato dell’arte del linguaggio dei giovani. Nella sua analisi però non è tutto negativo, egli definisce gli studenti “Capaci di argomentare, esemplificare, cucire le parole e le frasi tra di loro secondo logica e fantasia” tuttavia, continua “Gli errori sono tanti, le concatenazioni sono slabbrate, il periodare è sgretolato, il lessico poverissimo. Sembra quasi – continua nel suo articolo – che traducano pensieri ed emozioni in una lingua straniera, come quando cerchiamo di farci capire in inglese o in francese, già contenti se qualcuno più o meno ha compreso di cosa stiamo parlando, cosa ci serve, dove siamo diretti.” Marco Lodoli è scrittore, giornalista e insegnante di italiano, insignito di premi letterari, tra cui il Premio Internazionale “Mondello città di Palermo” nel 1986 con l’opera prima Diario di un millennio che fugge. Egli scrive su temi che riguardano i giovani e la scuola. La sua analisi non manca della ricerca di cause di questo “smarrimento linguistico”, si chiede “Come mai un diciottenne italiano fatica tanto ad esprimersi nella sua lingua. Certo, si legge poco, i libri sono considerati una noia mortale … reperti storici che misteriosamente continuano a uscire tutti i giorni. Ma forse … si scrive male perché non c’è più fiducia e confidenza nel pensiero, perché sono saltati i nessi logici, la capacità di legare una riflessione a un’altra, un aneddoto a una considerazione, un prima a un poi.” Sono perfettamente d’accordo sul fenomeno descritto. Come insegnante di lettere e successivamente nel ruolo di dirigente scolastico, ho avuto modo di notare questa triste realtà.

La mia analisi mi ha condotto a ipotizzare che forse una delle cause è che a scuola gli studenti sono impegnati a scrivere troppo e a parlare poco. Se proviamo ad entrare in una qualsiasi aula in un qualsiasi giorno durante la lezione di una qualsiasi materia assistiamo a scene simili: banchi schierati in fila, alunni stipati che vedono principalmente la nuca del compagno davanti e il docente in cattedra a parlare da solo, oppure gli studenti che scrivono. Raramente si trova in aula una disposizione dell’arredamento che favorisca la comunicazione verbale, la cinesica e la prossemica. L’ars dicendi, tanto raccomandata da greci e romani, rimane nella scuola di oggi solo un obiettivo astratto, è limitata a far parlare i ragazzi solo per rispondere a domande di interrogazioni nozionistiche e non viene considerata un habitus quotidiano di sviluppo nella formazione dei giovani. A mio parere la soluzione è semplice, si possono adottare due modus operandi, da parte degli insegnanti nei confronti dei loro studenti: 1) farli scrivere meno e farli parlare di più; 2) abolire i libri di testo che sono solo frammentari e non rispondono nemmeno alle esigenze visivomnemoniche dei giovani, e dare loro in mano i testi autentici e i documenti delle fonti. La natura della mia ipotesi è supportata dal pensiero di Marco Lodoli “La lingua in fondo è soprattutto l’arte di annodare, incollare, saldare, è lo strumento fondamentale per dare un ordine al caos delle sensazioni e delle esperienze … Ma i ragazzi della scuola non sentono più il bisogno di mettere a punto questo strumento: dicono qualcosa e poi il contrario, avanzano a salti, per intuizioni immediate, senza più la voglia di mettere le cosa in fila nel pensiero e nella scrittura … vivono il caos senza credere più nella logica, vivono la vita senza parole …”

Maria Grazia Sessa

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