“Cambiare la cultura per combattere il femminicio”. Dopo i fatti di Paceco, l'intervista alle operatrici del Centro Antiviolenza "La Casa di Venere"

Claudia Marchetti

“Cambiare la cultura per combattere il femminicio”. Dopo i fatti di Paceco, l'intervista alle operatrici del Centro Antiviolenza "La Casa di Venere"

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martedì 22 Novembre 2016 - 07:30

Lo scorso 19 novembre, il Centro Antiviolenza “La Casa di Venere” di Marsala, ha siglato un Protocollo d’Intesa con il locale Lions Club. Erano presenti le operatrici del Centro, Francesca Parrinello (presidente), Piera Pantaleo e Caterina Martinez, nonché il Presidente del Club Service Francesco Gandolfo ed il segretario Pietro Di Girolamo. Tutti uniti in un unico intento: quello di lavorare in sinergia per l’organizzazione di eventi, progetti e raccolta fondi, per diffondere la problematica della violenza sulla donne nel territorio ed in maniera capillare. Oggi più che mai, la tematica è allarmante. Proprio l’altro ieri è giunta la notizia di una donna di 60 anni di Nubia, frazione di Paceco, uccisa a coltellate dal marito che poi è stato arrestato dai Carabinieri. Alla base, pare ci siano stati “futili litigi”. In realtà non è affatto così. Ne abbiamo parlato con le operatrici del Centro Antiviolenza che opera sul territorio di Marsala dal 2012 e che quotidianamente accoglie donne vittime di violenza. “Il primo passo che deve fare una donna che subisce abusi è quello di rivolgersi al Centro Antiviolenza più vicino – ci ha detto Caterina Martinez – oppure ad avvocati, medici, forze di polizia che hanno l’obbligo di segnalare il caso al Centro. Non è facile per una donna denunciare gli abusi, spesso non si accorge di quello che le succede perché nel tempo, attraverso una serie di violenze ripetute, tende ad annullarsi. Ma le operatrici formate ad hoc sapranno riconoscere il pericolo e sapranno adottare un adeguato linguaggio, fornendo assistenza gratuita e, nei casi più gravi, rifugiando la donna in un luogo lontano dal suo habitat, un luogo spesso ignoto anche alle Forze dell’Ordine”. Da dove iniziare a parlare di femminicidio? “Sicuramente nelle scuole – afferma Martinez – perché è lì che nascono le prime avvisaglie, nell’approccio tra ragazza e ragazzo. Questo perché la violenza di genere è innanzitutto un problema culturale”.

La nostra infatti, è una società patriarcale, maschilista, in cui la donna, nei secoli, è sempre stata vista come la figura che accudisce la famiglia e bada alla casa. La donna è così sottomessa alla volontà del marito, del padre, del fratello. “Il femminismo è servito per la parificazione dei diritti tra uomo e donna – ci ha specificato Francesca Parrinello -, ma ha voluto mantenere sempre le differenze tra i due generi. Spesso nei giornali o nelle trasmissioni che si occupano di casi di cronaca, sentiamo parlare di “raptus del marito che ha ucciso la moglie”. Non è così, molto frequentemente quell’uomo proviene da una situazione familiare di abusi a sua volta; probabilmente ha avuto un padre che ha picchiato la madre, che l’ha sottomessa psicologicamente e lui non ha potuto fare nulla per difenderla. Un uomo che crescerà frustrato e che a sua volta, da quell’esempio ricevuto, diventerà un marito violento”. Cultura di genere. Questa è la parola chiave. Un termine che deve diffondersi a partire dalle scuole ed attraverso un linguaggio di genere. “Le operatrici dei centri antiviolenza accreditati, sono tutte formate – ha detto la Parrinello – per accogliere una vittima di violenza, così come vuole la legge Vinciullo, una legge della Regione Sicilia creata dalla rete dei Centri Antiviolenza siciliani. L’obiettivo è scardinare la cultura patriarcale perché la violenza può essere perpetrata anche attraverso il linguaggio. Sono numerosi i casi di donne che in questo modo osano violenza su altre donne: giudicare per esempio, è il primo segnale di violenza. Così come tanti sono i casi in cui una persona, vittima o carnefice che sia, da maltrattato si trasforma in maltrattante”.

In quest’ultimo caso ne rientra anche un uomo violento che ha bisogno di affrontare un percorso psicologico; bisogna dargli un’altra chance affinchè possa cambiare il suo atteggiamento. Le violenze di genere esistono sia nei ceti sociali bassi (spesso sono fisiche) sia nei ceti medio-alti. Qui gli abusi sono psicologici ma più subdoli, difficili da riconoscere. Qui interviene un centro antiviolenza. “Al Sud ci scontriamo con una mentalità sbagliata – ha voluto sottolineare la Presidente del “La Casa di Venere” -. Bisogna innanzitutto distinguere un centro antiviolenza con un’associazione al femminile che si occupa di donne: solo il primo è accreditato se ha stipulato un Protocollo con il Ministero Pari Opportunità e se ha affrontato un percorso di formazione. Inoltre le operatrici devono essere per legge tutte donne. Al nord invece, i centri antiviolenza lavorano serenamente e con molte problematiche in meno rispetto alle nostre. Noi abbiamo dovuto attendere anni per avere una sede”. Due punti importanti da affrontare in materia di diritti di genere, sono il “codice rosa” e le “quote rosa”. Si è sempre parlato di attivare all’Asp di Trapani un “codice rosa” affinchè il personale medico sia adeguatamente preparato ad accogliere e a curare una vittima di violenza. “Quando mesi fa tenemmo una conferenza stampa per presentare la nostra sede, il deputato regionale Antonella Milazzo ci coinvolse in un tavolo tecnico da stabilire per l’attivazione del codice rosa negli ospedali della Provincia. Ad oggi – ha affermato Francesca Parrinello -, nessuno si è fatto vedere e sono già passati mesi. Una donna che subisce violenze non può aspettare. Per quanto riguarda la quota rosa, ovvero la parificazione della donna in politica, noi de “La Casa di Venere” non siamo d’accordo: nel momento in cui si stabilisce una quota rosa, si riconosce anche una minoranza della donna. Ciò è discriminante, figlia di una cultura maschilista. C’è da ricordare che il delitto d’onore riconosciuto in Italia dal Codice Rocco, da cui deriva il nostro Codice Penale, è stato abolito solo nel 1981, dopo le lotte dei movimenti femministi sul divorzio, sul diritto di famiglia, sull’aborto. Dobbiamo ringraziare a quelle donne altrimenti oggi ci scontreremo ancora con quella cultura patriarcale”. E’ importante infine fare una puntualizzazione: la cultura di genere, la lotta contro le violenze sulle donne, vanno combattute anche dagli uomini che credono nella parità di diritti già tutelati dalla legge fondamentale dello Stato Italiano e delle convenzioni europee ed internazionali, affinchè nei vari settori, in famiglia, a scuola, a lavoro, la donna non venga discriminata ma rispettata.

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