Difficile non concordare con chi ha definito “vergognoso” quanto accaduto a Goro, nel ferrarese, dove una consistente parte della popolazione ha materialmente impedito a 12 profughe e ai loro figli di scendere dal pulmino che le stava accompagnando presso l’ostello che avrebbe dovuto ospitarle. I testimoni raccontano di scene di guerriglia urbana che hanno convinto il prefetto a dirottare verso altri centri le donne e i loro bambini, destando generale sconcerto tra chi mai avrebbe immaginato che nella civile Emilia potessero verificarsi eventi del genere. Vicende che, naturalmente, non nascono dall’oggi al domani, ma che sono il naturale frutto delle campagne politiche e mediatiche che da anni alimentano sentimenti xenofobi verso chi arriva dalle coste del Mediterraneo, sfuggendo a guerre, persecuzioni e povertà. Un lavaggio del cervello continuo, che ha instillato il germe dell’intolleranza anche in contesti che sembravano culturalmente impermeabili a qualsiasi propaganda.
Goro non è una roccaforte leghista, né il punto di incontro dei seguaci di Casa Pound o Forza Nuova. E’ una piccola comunità che si trova nel cuore di una terra irrorata dai valori dell’antifascismo e della Resistenza, custoditi e tramandati alle nuove generazioni da uomini e donne che ancora si commuovono quando parlano dell’eccidio di Marzabotto. Lenta, insistente e inesorabile, la retorica xenofoba ha scavato solchi profondi in ogni angolo del Paese. E checchè ne dicano i professionisti della rassicurazione facile, quel che è successo ieri a Goro può accadere ovunque. Basta dare un’occhiata sui social per rendersene conto. Ma, come ormai evidente, i nuovi xenofobi non sono i soliti nostalgici del regime fascista e della mitica stagione in cui “si poteva uscire con le porte aperte” e “i treni arrivavano in orario” (anche perchè ai giornali era proibito raccontare il contrario). Sono donne e uomini spesso esasperati dalle difficoltà di arrivare alla fine del mese. E, a ben vedere, il più grande crimine commesso in questi anni, è averli trasformati in potenziali alfieri dell’intolleranza contro “gli altri”. Per evitare un pericoloso effetto domino, dunque, serve un cambiamento culturale. Ma occorre anche agire seriamente per ridurre a tutti i livelli le diseguaglianze in un Paese che negli ultimi anni ha visto divaricarsi di giorno in giorno la forbice tra i redditi più alti e chi vive al di sotto della soglia di povertà. Serve ricordare il valore della giustizia sociale, ormai ai margini del dibattito politico e mediatico.