Gentile Direttore,
Le scrivo in relazione al pezzo dal titolo “La Gogna Pubblica”, pubblicato dal Vostro portale nella giornata di ieri.
Al momento mi trovo negli Stati Uniti, dove sto completando un master in diritto internazionale presso l’università di Berkeley. Negli ultimi mesi ho svolto diversi studi, tra i quali uno dal titolo “Contro la Loro Volontà – Il Perseguimento del Crimine di Stupro dinanzi alla Corte Penale Internazionale”.
Nel corso dello svolgimento di tale ricerca, tralasciando gli aspetti sostanziali e procedurali di diritto penale internazionale, che non rilevano ai fini delle mie considerazioni sul Vostro articolo, mi sono trovato a leggere diversi elaborati sull’impatto psicologico dei reati di natura sessuale sulle vittime. Ebbene, una delle conclusioni più ricorrenti nei lavori delle autorità del settore è che la giustizia per i crimini di natura sessuale è spesso intralciata dalle conseguenze psicologiche riportate dalle vittime di tali abusi. Detto impatto psicologico spesso si manifesta in paura, vergogna, timore di stigmatizzazione sociale, di non essere creduti e di ostracismo familiare di un’importanza tale da generare nelle vittime riluttanza non solo a denunciare l’accaduto ma anche ad ammettere a sé stesse l’avvenuta violenza. Nei casi più estremi, le vittime tacciono per anni giungendo perfino a convincersi di essersi per una qualche ragione meritate la violenza e quindi a giustificare il responsabile della stessa. In tal senso si esprimono, a titolo esemplificativo, report del Segretario Generale delle Nazioni Unite, studi svolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicazioni del Giornale della Consulenza e della Psicologia Clinica.
Per questo motivo, e considerata la peculiarità del reato in questione, che presenta risvolti psicologici per le vittime ben diversi da quelli derivanti da reati di altra natura, dissento fermamente con quanto affermato nel Vostro articolo in relazione all’inopportunità della pubblicazione delle foto del presunto autore delle violenze. In conclusione del penultimo paragrafo, il Vostro pezzo recita:
E proprio quest’ultimo punto, relativo alla “non eccedenza”, a nostro parere è stato ampiamente superato. Non si ravvisano infatti elementi che possano far pensare a un “prevalente interesse pubblico” nella decisione di pubblicare la foto in questione, tenuto conto che l’accusato è stato sospeso dall’esercizio delle proprie funzioni e che si trova agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Ebbene, per quanto sopra detto, ritengo che la pubblicazione della foto sia non solo opportuna ma anche necessaria. Mi rendo conto che un’affermazione del genere richiede un’argomentazione esaustiva per essere accettabile. A tal proposito, è bene ricordare che il codice di procedura penale, per l’applicazione di misure cautelari personali, richiede l’esistenza di due ordine di requisiti: la sussistenza di (i) gravi indizi di colpevolezza e di (ii) esigenze cautelari. Queste ultime, in particolare, riguardano il rischio di inquinamento delle prove, il rischio di fuga dell’imputato, e/o il rischio di reiterazione del reato. Ciò detto, a prescindere da quale sia stata l’esigenza cautelare ravvisata nel caso concreto, la misura cautelare nei confronti di Maurizio Spanò ha trovato applicazione poiché chi di dovere ha ravvisato negli elementi a sua disposizione i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma 1 del codice di procedura penale. A mio modo di vedere, la sussistenza di tali gravi indizi di colpevolezza unitamente alle considerazioni di cui sopra sull’impatto psicologico dei reati di natura sessuale rendono la pubblicazione della foto non semplicemente opportuna ma necessaria. Pur nella consapevolezza che dovrà essere un giudice e non la piazza a giudicare la condotta di Spanò, ritengo che sia desiderabile che chi ritiene o ha semplicemente il dubbio di essere stato/a vittima di comportamenti di natura sessuale inappropriati o criminali ad opera di Spanò, di recente o negli anni passati, venga a conoscenza della vicenda che lo ha coinvolto. Proprio qui, a mio modo di vedere, sta’ l’interesse pubblico nella pubblicazione della fotografia che Voi non ravvisate. In questa maniera, infatti, è possibile che timori e paure lascino spazio alla volontà e al coraggio di far stabilire ad un giudice terzo ed imparziale la legalità della condotta di Spanò nei loro confronti.
Pur dissentendo con le Vostre argomentazioni, tuttavia, ritengo che la Vostra riflessione sull’etica del giornalismo sia assolutamente condivisibile. Infatti, pur non volendo fare di tutta l’erba un fascio, è innegabile che tanto il giornalismo nazionale quanto quello locale spesso racconti mezze verità, faccia insinuazioni infondate e assecondi campagne diffamatorie che non solo sono in contrasto con l’etica della professione ma calpestano arrogantemente la dignità della persona umana.
Nicola Grillo
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Gentile lettore, prendiamo atto della sua legittima opinione. Noi restiamo dell’idea che i colleghi di “S” abbiano superato il limite della “non eccedenza”. E lo diciamo non tanto rispetto alla pubblicazione della fotografia di Maurizio Spanò, quanto alla decisione di promuovere il nuovo numero del settimanale con manifesti 70X100, paragonabili a quelli delle sale cinematografiche, per intenderci. Le assicuro che se si fosse trovato a Marsala in questi giorni, anche a lei sarebbe sembrato eccessivo. Stiamo parlando di vere e proprie gigantografie che non ricordiamo siano state utilizzate in situazioni simili e che somigliano tanto alle locandine “Wanted” che venivano affisse vicino ai saloon nei film western. L’impressione, poi, è che in questa vicenda ci sia stata anche l’intenzione di strizzare l’occhio agli appassionati di fisiognomica. Qualcuno, su Facebook, ha pubblicato con enfasi questa gigantografia, corredandola con il discutibile commento “Il mostro di Marsala”. Perchè, com’è noto, il volto di Maurizio Spanò non passa inosservato. Così, in redazione ci siamo ritrovati a chiederci: “avesse avuto lineamenti più comuni, il settimanale “S” avrebbe fatto la stessa scelta?”. Molti di noi pensano di no, ritenendo quindi che la forzatura sia stata ancora più criticabile. Comprenderà, gentile lettore, che nell’epoca dei social il ruolo di noi giornalisti è più delicato rispetto al passato. Da un lato abbiamo il dovere di raccontare vicende dolorose per chi ne è stato direttamente vittima, dall’altro occorre evitare che la legittima indignazione popolare tracimi nel desiderio di un pubblico linciaggio o nell’istigazione al suicidio. Il nostro intervento, quindi, non va letto come una difesa d’ufficio di Maurizio Spanò o come una carezza ai suoi familiari. Né come un tentativo di ridimensionare le sofferenze o le umiliazioni patite dalle vittime dei presunti abusi, a cui va tutta la nostra solidarietà. Il nostro intervento nasce dalla volontà di difendere una certa visione del giornalismo, che mira al racconto dei fatti e alla costruzione di una coscienza civile più matura, che tenga assieme il desiderio di giustizia e il senso di umanità.
Vincenzo Figlioli