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La mafia in provincia di Trapani secondo la Dia: tra omertà e forti ingerenze sul contesto economico

La latitanza di Matteo Messina Denaro, le infiltrazioni nel tessuto economico e produttivo, la capacità di coniugare la conservazione di antichi riti con l’attenzione alla modernità: questi i punti principali su cui si fonda la presenza di Cosa Nostra in provincia di Trapani, secondo la Direzione Investigativa Antimafia che nelle scorse settimane ha trasmesso una relazione al Ministro degli Interni Angelino Alfano a proposito dell’attività svolta nel primo semestre del 2015. Tra i punti che meriterebbero un’ulteriore riflessione vi è inoltre il riferimento al “persistente clima di omertà” e “alla propensione, praticamente nulla, a denunciare reati tipicamente riconducibili ad attività mafiosa”. Un fattore su cui le istituzioni dovrebbero seriamente interrogarsi. Colpisce, rispetto al passato, che non compaiono nella relazione riferimenti espliciti alle connivenza tra mafia, politica e massoneria.

A seguire, pubblichiamo l’intero stralcio della relazione della Dia, riguardante la provincia di Trapani:

Le dinamiche di Cosa Nostra trapanese riflettono marcatamente l’evoluzione criminale della provincia di Palermo. Infatti, l’alleanza tra i sodalizi palermitani e quelli trapanesi fonda le proprie radici non solo nel perseguimento di obiettivi comuni, secondo condivisi piani d’azione, ma anche nei legami di amicizia personali intercorrenti tra i veri capi. Il modello verticistico – piramidale consente l’imposizione di strategie unitarie, comunque protese a coprire e sostenere la latitanza di Matteo Messina Denaro, ritenuto punto di riferimento del sistema criminale, non solo provinciale. Tale unitarietà d’azione è rilevabile anche in campo economico, con una spiccata ingerenza in vari settori dell’imprenditoria.

Cosa Nostra trapanese sarebbe attualmente strutturata su quattro mandamenti, che comprendono complessivamente 17 famiglie.

La guida dei mandamenti risulterebbe saldamente nelle mani dei vecchi esponenti detenuti o latitanti, mentre più fluide risultano le altre posizioni di comando (reggenti e capifamiglia), anche per effetto di arresti da parte delle Forze di polizia.

La pressione mafiosa si manifesta attraverso atti intimidatori e danneggiamenti ai danni di commercianti e imprenditori, nonché mediante una sistematica azione estorsiva da ritenersi ancora un importante canale di approvvigionamento di denaro, utilizzato anche per il mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie. La forma più diffusa di estorsione risulta consistere nell’imposizione della fornitura di materie prime e di manodopera alle ditte aggiudicatarie, a vantaggio delle imprese mafiose (c.d. “messa a posto”).

Il persistente clima di omertà, desumibile anche dalla propensione, praticamente nulla, a denunciare reati tipicamente riconducibili ad attività mafiosa, è significativo della capacità di condizionamento del contesto socio – economico – produttivo.

L’aspetto più rappresentativo di Cosa Nostra trapanese è sicuramente da rintracciare nella marcata impronta imprenditoriale, che si realizza attraverso il reinvestimento e l’interposizione fittizia di capitali d’illecita provenienza, anche con l’avallo di operatori economici compiacenti.

Quanto sopra trova riscontro, nel semestre di riferimento, nell’ambito delle seguenti attività di contrasto condotte dalla locale Sezione Operativa della Direzione Investigativa Antimafia:

  • il 2 gennaio 2015 è stato eseguito un provvedimento restrittivo nei confronti di un imprenditore di Alcamo (TP), affiliato alla locale cosca mafiosa, già definitivamente condannato per il reato di cui all’articolo 416 bis del Codice Penale e destinatario di una misura ablativa. L’inventario dei beni sequestrati, oltre ad evidenziare un ammanco nelle casse di una società di ingenti somme, esportate in Paesi del Medio Oriente, ha fatto emergere la cessione fittizia a terzi di numerosi beni strumentali, risultati, invece, nella piena disponibilità dell’imprenditore mafioso che, in Oman, con la complicità di un architetto alcamese, aveva avviato una parallela attività commerciale;

  • il 29 aprile 2015, nell’ambito dell’operazione “Eva”, sono stati deferiti all’autorità giudiziaria undici soggetti (alcuni risultati collegati al noto latitante Matteo Messina Denaro) ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento, falso e spaccio di sostanze stupefacenti. L’attività, che ha avuto origine da un’ispezione amministrativa eseguita a Castelvetrano nel febbraio del 2013, in un cantiere avviato per la costruzione di un centro comunale polifunzionale, ha fatto luce sulla persuasiva capacità di infiltrazione mafiosa in alcuni settori vitali del tessuto economico della Sicilia occidentale.

Nonostante l’evidente controllo territoriale di Cosa Nostra, risultano in aumento fenomeni di criminalità “diffusa”, spesso riconducibili a gruppi di etnia straniera, principalmente dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti e a reati predatori.

Vincenzo Figlioli

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