Tomaino, Pistillo, Pugliari, Pouli, Bessi, Marruso, Oliva, Calabretta, Barzagli, Montixi, Douioi. E’ soltanto una piccola fetta della più grande e spaventosa lista dei morti sul lavoro o meglio, di lavoro. Numeri ancora in crescita vengono evidenziati dall’Osservatorio di Sicurezza sul Lavoro sulla base dei dati rilevati dall’Inail, dati che fanno emergere che, nonostante le numerose leggi per combattere il fenomeno, ci sono molte aziende che non rispettano le norme previste. Tomaino e gli altri non sono morti accidentalmente, sono morti perché i loro datori di lavoro nel maggiore dei casi, non li hanno tutelati nello svolgimento di un’attività lavorativa ritenuta “a rischio”, come nell’edilizia per esempio. L’operaio che cade dall’impalcatura perché priva di rete, il giovane che in nero si guadagna 40 euro per costruire un palco dai bulloni precari, le decine di operai morti nell’esplosione di un’azienda che produce giochi d’artificio, l’agricoltore schiacciato dal suo trattore. Gente anonima sì, ma che si guadagnava da vivere per sé e la propria famiglia, gente che sostiene l’economia di un paese perché produce. Bisogna comprendere anche che la produzione non è nulla senza la catena di uomini che sta dietro di essa. Spesso si pensa ad accumulare piuttosto che a tutelare il lavoratore intento a compiere il proprio dovere. Ma è anche il proprio diritto, perché il lavoro è il primo diritto tutelato dalla Costituzione Italiana. Almeno così c’è scritto. L’Inail ha registrato un aumento del 10, 15% degli infortuni sul lavoro, ma anche una crescita delle morti bianche, 752 da gennaio ad agosto. Se pensate che un anno è formato da 365 giorni, si parla di una media di tre lavoratori al giorno. La morte bianca non guarda in faccia nessuno, né italiani né stranieri, né uomini né donne, da questo punto di vista non fa discriminazioni. I settori più colpiti sono quelli delle costruzioni e delle attività manifatturiere e la Lombardia detiene il primato, probabilmente perché è una regione dove sono presenti diverse industrie. Si muore non solo per una caduta, si muore anche respirando nubi tossiche. Il d.lgs. 81/2008 prevede la presenza all’interno di un’azienda, di un responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, però è necessario anche istituire un organismo che possa controllare e monitorare il rispetto delle norme da parte delle aziende, un organo che capillarmente abbia delle sedi distaccate a livello locale. Sarebbe una soluzione per ridurre il drammatico fenomeno, ma i tagli all’Ispettorato del Lavoro e alle Asl non permettono di creare una rete così presente sul territorio e a difesa dell’individuo. E ancora una volta, laconicamente, ci si chiede: ma lo Stato dov’è?
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