Immaginiamo di dover educare i più giovani ad avere fiducia nelle istituzioni. Dovremmo parlar loro di uno scenario ideale, in cui la politica viene esercitata per il bene comune nel rispetto della legalità, le forze dell’ordine agiscono senza consumare abusi o eccessi, gli istituti di vigilanza (come la Banca d’Italia) assolvono al loro ruolo in maniera imparziale, la Chiesa esercita la propria missione pastorale restando lontana da business e scandali, la magistratura agisce nel rispetto della legge senza consumare favoritismi a destra e a manca. Uno scenario che, purtroppo, è molto lontano dalla realtà. Soprattutto in Italia. E’ vero, potremmo soffermarci sugli esempi positivi (le cosiddette “best practice”) che esistono e tengono in piedi quel che resta del nostro Paese pur essendo spesso ignorati dai media. Ma come potremmo mai spiegare a un giovane che esistono anche magistrati come Silvana Saguto? Me lo chiedo già da alcuni giorni. La sua vicenda – qualora tutte le circostanze addebitate fossero confermate – è a dir poco raccapricciante. L’ormai ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo è riuscita nell’impresa di far convergere su di sé accuse che solitamente verrebbero contestate a un criminale matricolato: concorso in corruzione, induzione alla concussione, autoriciclaggio, abuso d’ufficio. Tutto ciò, dovendo gestire un ufficio delicatissimo, in cui si decide la destinazione dei beni confiscati alla mafia. Nello stesso Tribunale in cui Paolo Borsellino lavorò per anni contribuendo alle indagini più importanti su Cosa Nostra, la Saguto ha poi avuto l’ardire di definire i suoi figli “uno squilibrato” (Manfredi) e “una cretina” (Lucia). Non saremo certo noi a processare questa donna. Ci affidiamo agli organi preposti, sperando che facciano il loro dovere in maniera equa. C’è una domanda che però ci accompagna da giorni: Silvana Saguto è sempre stata così o lo è diventata? Talvolta, è vero, il raggiungimento di certe posizioni professionali può cambiare le persone. L’impressione, però, è che spesso in Italia incarichi particolarmente delicati non vengano assegnati a caso e che le scelte avvengano seguendo un’idea di meritocrazia capovolta. Se sei un integerrimo servitore dello Stato, non sei funzionale al sistema. Se sei più disinvolto, puoi andar bene. Tutto ciò, naturalmente, giova a chi ha interessi nel creare un modello sociale in cui le cose non funzionano, le istituzioni perdono credibilità e si irrobustisce quella rete sotterranea di complicità, coperture, favori reciproci, che da anni svolge un ruolo cruciale nella storia della Sicilia e dell’intero Paese. E allora viene voglia di dire ai più giovani: fidatevi solo di voi stessi. Toccherà a voi sistemare i disastri che le generazioni precedenti hanno prodotto.
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