I campi della vergogna

Claudia Marchetti

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I campi della vergogna

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venerdì 07 Agosto 2015 - 10:14

“Signore, cerco lavoro, lei ha lavoro?”. E’ una frase che viene spesso pronunciata dagli emigranti africani che hanno trovato alloggio nei diversi enti assistenziali della nostra Città. L’ondata di sbarchi che continua e non pare arrestarsi ha creato un’emergenza che la Sicilia ha saputo, fino a questo momento, contenere. Anche se l’Italia sembra non tenderle nessuna mano. Ma ciò ha creato anche nuove forme di schiavitù, così apparentemente lontane dalla nostra memoria eppure così vicine. Come quelle degli emigranti sfruttati nei campi del Meridione, dalla Puglia alla Sicilia, realtà strazianti che se hanno scampato la morte in mare rischiano quella nelle nostre terre. Sono piantagioni di pomodori e di aranci, non di cotone. Sono giovani che scappano via dal degrado dei loro paesi, dalla fame, dalle guerre… ma non vogliamo qui fare retorica. Dopo tutto c’è chi ancora vorrebbe rimandarli a casa o bloccarli in qualche frontiera, se esiste poi. Peggio ancora quelli che credono che a loro arrivino chissà quali fondi. “Signore, cerco lavoro, lei ha lavoro?”. Lo dicono spesso i ragazzi dei centri di accoglienza, loro fanno tutto: aiutano, puliscono, scerbano i terreni, si accontentano di tutto. Alcuni mandano qualcosa ai loro cari, altri semplicemente comprano delle cose per loro, una T-shirt ad esempio, alla fine sono ragazzi. Non è andata bene invece ad un bracciante tunisino a Bari, che dopo 8 ore sotto il sole cocente, per sfamare i 4 figli, ha perso la vita stroncato da un infarto. E’ la terza vittima nei campi pugliesi. Accolgo con un sorriso ironico chi dice che gli emigranti in Italia – in un paese dove il lavoro oggettivamente manca anche per gli italiani – accettano occupazioni che noi non faremo mai. E chi vorrebbe a queste condizioni, accettare un lavoro così duro per un salario mortificante? Chi vorrebbe trovare la morte nei campi della vergogna? A Salvini qualcuno disse, qualche tempo fa, che anche gli italiani sono stati emigranti e l’onorevole per tutta risposta ha pronunciato frasi agghiaccianti di chi la storia non la conosce affatto, che il paragone non regge per futili motivi che ancora Salvini deve chiarirci. Forse non ricorda di quanto stipate fossero le navi che dalle nostre coste partivano per l’America, di come i nostri affrontassero la notte su lettighe condivise da centinaia di persone in cabine strette, sfidando malattie con la speranza di arrivare a destinazione. “La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento…”

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