“Va fermata, fatta fuori. Come suo padre”. La persona da fermare sarebbe Lucia Borsellino, fino a due settimane fa assessore regionale alla sanità del governo Crocetta. Il padre, naturalmente, è Paolo, il magistrato antimafia fatto saltare in aria il 19 luglio del 1992. A pronunciare questa frase vergognosa non è un Totò Riina qualunque. Ma Matteo Tutino, primario di chirurgia plastica dell’ospedale Villa Sofia di Palermo, arrestato lo scorso 29 giugno con l’accusa di truffa al sistema sanitario, falso, peculato e abuso d’ufficio. Nell’intercettazione telefonica in cui si lascia andare alla dichiarazione sopra citata, Tutino non parla con una persona qualunque. Ma con il presidente della Regione Rosario Crocetta, amico personale. Lo sdegno con cui tale conversazione è stata accolta ieri dall’opinione pubblica e dal mondo politica non nasce però solo dall’inqualificabile cinismo con cui il chirurgo parla della famiglia Borsellino. Ma anche dalla mancata difesa da parte di Crocetta del suo assessore e della memoria del magistrato ucciso in via D’Amelio. Il Presidente della Regione dice di non aver sentito questa frase. Se guardiamo a ritroso alla storia personale e politica di Crocetta verrebbe voglia di credergli. Come può quel sindaco di Gela che si mise contro gli “stiddari” rischiando la vita aver taciuto di fronte a una frase del genere? E’ chiaro, tuttavia, che Crocetta da tempo ha perso di vista le ragioni per cui i siciliani lo avevano votato nel 2012, dopo due presidenti come Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. I problemi di questa terra non sono certo nati con lui. Ma purtroppo, con lui non sono arrivate nemmeno le soluzioni. E’ chiaro anche che molti indignati di queste ore (soprattutto nel Pd) stanno strumentalizzando la vicenda con il solo obiettivo di mandare a casa questo governo e di andare alle urne. Tuttavia, come abbiamo già scritto qualche giorno fa, la stagione di Crocetta si è conclusa da un pezzo, a prescindere da quest’ultima vicenda: gli auspici rivoluzionari di tre anni fa hanno ormai lasciato il passo a una lenta e irreversibile agonia. Resta il fatto che se i suoi oppositori avessero avuto un po’ più di coraggio, avrebbero dovuto sfiduciare Crocetta all’Ars, evitando quest’ennesimo teatrino che non fa onore a questa terra, tantomeno alla memoria di Paolo Borsellino, sfregiata e offesa ancora una volta. L’impressione è che si volesse arrivare proprio a questo: imbastire un paradossale copione in base a cui un uomo (Crocetta) che ha costruito la propria carriera politica sull’antimafia, senza mai risparmiare interventi e prese di posizione contro Cosa Nostra e i suoi rapporti con la politica, la chiudesse improvvisamente per non aver detto una sola parola in difesa di una delle famiglie siciliane che più hanno pagato per il loro impegno contro la mafia. In questo scenario, condivisibilmente, i familiari di Paolo Borsellino hanno già annunciato che il 19 luglio non parteciperanno ad alcuna iniziativa in ricordo della Strage di Via D’Amelio. Quest’anno, più che mai, i siciliani perbene saranno con loro e con tutti coloro che ogni giorno lottano seriamente per liberare davvero la loro terra dalla mafia.
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