Quando si parla di immigrati il luogo comune è sempre dietro l’angolo. “Vengono da noi perché nel loro paese non li vogliono più”, “Ci rubano il lavoro”, “Lo Stato dà loro 80 € al giorno che utilizzano per alcol e sigarette”, “Aiutiamoli a casa loro”… Ancora poco si dice invece sulle ragioni che portano i migranti a raggiungere le nostre coste. Ragioni che hanno a che fare con guerre, persecuzioni, violenze e soprusi. La fuga, in questi casi, non è una scelta. Ma una necessità.
E quasi mai si ricorda il terzo comma dell’articolo 11 della nostra Costituzione: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Tutto ciò è stato ricordato (anche a Marsala) in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, che dal 2001 cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema trattato spesso con superficialità dai media e dal mondo politico.
Nonostante le diverse campagne informative di questi anni, però, l’Italia non ha ancora una legge organica sul diritto d’asilo (unico Stato in Europa assieme alla Grecia) e non fa nulla per ridurre i tempi di attesa nell’esame delle posizioni dei richiedenti. L’aumento dei Centri d’accoglienza e degli Sprar non è stato accompagnato da interventi legislativi adeguati. Rispetto a qualche anno fa, le pressioni dell’Unione Europea ci hanno convinti ad abbandonare la politica dei respingimenti e ad abrogare il reato di immigrazione clandestina. Resta però tanto altro da fare, partendo dalla gestione dei flussi migratori, che, come sottolineato dal prefetto Falco, andrebbero adeguatamente distribuiti tra le diverse regioni.
Ma al di là di tutto, la questione non riguarda solo l’ordine pubblico. Perché riguarda soprattutto l’idea che abbiamo del nostro futuro. Ed è lì che i nostri politici dovrebbero parlare il linguaggio della chiarezza, spiegando che l’Italia non può che diventare un Paese multiculturale. Un po’ perché lo è sempre stato (l’Unità nazionale mise assieme piemontesi e spagnoli, austriaci e francesi, normanni e arabi). Un po’ perché ce lo chiede la nostra collocazione geografica. E scommettere sul Mediterraneo e sul nostro Sud potrebbe essere il modo migliore per uscire dalla palude economica e culturale in cui ci siamo cacciati con le nostre mani.