Gentile direttore,
il primo capoverso dell’articolo 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà di altri popoli” che, come in un cartiglio, appare tutti i giorni sulla prima pagina del suo giornale, da assiduo e attento lettore quale sono, non poteva fuggirmi. Premetto subito che la sua è una scelta efficace e pienamente da condividere, anche se con il passare del tempo, l’escalation dell’intervento russo e il montare della polemica, tale principio sembra riduttivo, incompleto e, per certi versi, fuorviante, se non viene visto all’interno di uno spaventoso scenario e un contesto tragicamente e apparentemente intricato in cui ci troviamo.
Dopo la terribile tragedia che sta vivendo il popolo ucraino, il problema principale che da settimane divide l’opinione pubblica italiana, è quello di mandare o meno le armi in aiuto alla resistenza contro l’invasione bellica voluta da Putin. Parte tutto da qui lo scontro che sta lacerando il tessuto sociale che invece avrebbe bisogno di maggiore unità per giungere alla pace. Invece siamo di fronte a una situazione rispetto alla quale si ha l’impressione di trovarci davanti a una forma di reazione irrazionale preconcetta che ci allontana sempre più da quella meta. Da un lato ci sono coloro che propendono di non mandare i rifornimenti militari invocando la parte sopra riportata dell’articolo 11 della Costituzione. Mentre dall’altro ci troviamo lo schieramento opposto il quale sostiene che le armi vanno fornite ai resistenti ucraini per evitare di soccombere e di consegnarsi all’illegittimo invasore straniero e al tempo stesso per salvaguardare la loro indipendenza e la loro autodeterminazione ottenute attraverso un voto democratico. Mi limito soltanto ad affrontare ed esaminare, come si suole dire, la questione in punta di diritto o, meglio, di Costituzione, anche se sarà complicato fare un ragionamento sereno e proficuo, visti i toni arroventati dello scontro in atto che pare, in tutti i modi, vogliano impedirlo.
Il tanto sbandierato articolo 11 della nostra Costituzione stabilisce che l’Italia non accetta per sé (ripudia) il ricorso alla guerra “come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” ma stabilisce all’articolo 52 che la “difesa della Patria è sacro dovere del cittadino e “dispone il servizio militare nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge”; l’articolo 78, recita: “Il Parlamento delibera lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari”. Ciò implica che inesorabilmente l’Italia (chi l’avrebbe mai detto prima del 24 febbraio 2022?) possa trovarsi in guerra. Tutto quanto appena esposto vuol dire in primo luogo che la partecipazione italiana al sistema di sicurezza collettiva dei sistemi democratici, in primis del nostro Continente, non può ridursi semplicemente a una retorica ma presuppone il mantenimento di una strumentazione militare efficiente per difendere da attacchi esterni le libertà che noi riconosciamo come non negoziabili. In secondo luogo non significa inneggiare alle guerre, che sono e rimangono, come dimostrano le orrende immagini dell’Ucraina, flagelli insopportabili e, in tutti i casi, da evitare e da deplorare anche come deviazioni razionali e umane.
Ritengo che su questa base servano a poco i sofismi e i contorsionismi cui ricorrono gli appartenenti a quella schiera di fanatici e degli intransigenti dei Né con Putin Né con l’Ucraina (e fra questi purtroppo anche il presidente dell’ANPI) che finiscono per essere oltre che dannosi controproducenti in un momento in cui è richiesta la massima coerenza. All’interno di questa galassia ci sono coloro che arrivano persino a giustificare l’intervento della Russia perché minacciata e accerchiata dalla Nato e dall’Occidente o, addirittura, reputano che, per il fatto che non si sia arreso, sia lo stesso Zelensky il responsabile di una possibile terza guerra mondiale. Una costruzione aberrante che evita così di demonizzare Putin schierandosi surrettiziamente sulla posizione dei cosiddetti, sedicenti o presunti pacifisti a oltranza che considerano la scelta di sostenere militarmente la resistenza ucraina in nome di valori della libertà, della democrazia, dell’autodeterminazione dei popoli, addirittura una violazione della nostra Costituzione. Con il passare del tempo mi convinco sempre di più che, al netto dei suoi possibili errori, il presidente ucraino, che guida la resistenza del suo popolo, avesse ragione quando qualche settimana fa sosteneva che “Se la Russia finisce di combattere, la guerra finisce. Se l’Ucraina finisce di resistere, finisce l’Ucraina”.
Per concludere, le sarei oltremodo grato se sulle mie “perentorie” considerazioni, lei mi facessi conoscere la sua posizione. Sono convinto che lei, come la stragrande maggioranza di donne e uomini, desidera, fin da questo momento che tacciano le armi e cominciare subito a pensare come costruire e imboccare una strada nuova capace di condurci verso una duratura e speriamo illimitata coesistenza pacifica, non solo fra Oriente e Occidente, ma anche fra tutti i Paesi e i Popoli della Terra.
Filippo Piccione
Gentile lettore,
i Principi Fondamentali della Costituzione Italiana, a distanza di 74 anni dall’entrata in vigore della Carta, mantengono intatta la loro straordinaria capacità di indicarci una direzione. L’articolo 11, l’adesione all’Onu, il sogno europeista sono tre tra i principali strumenti che quella generazione, che visse sulla propria pelle dittatura, guerra e occupazione del proprio territorio, mise in campo per promuovere la pace e la cooperazione tra i popoli. D’altra parte, la nostra adesione alla Nato ci ha portati a partecipare a missioni militari controverse, in cui il limite tra difesa e attacco è apparso, spesso, molto sottile. Capisco le posizioni di chi non vuole abbandonare l’Ucraina al proprio destino, trattandosi di un Paese che ha comunque subito un’invasione che da quasi due mesi semina morte e distruzione nel cuore dell’Europa. Comprendo meno l’aggressività verbale delle parti in causa che, certamente, non aiuta a trovare una soluzione diplomatica. Perchè il punto centrale è che nel 2022, anche in guerra, non si dovrebbe mai smettere di cercare la pace. E, in questo senso, le parole sono estremamente importanti. Da quello che leggo in queste settimane la sensazione è che, a parte Papa Francesco, i principali leader politici del nostro tempo si siano rassegnati a una lunga guerra. Probabilmente, sulla base di ragionamenti di carattere strategico ed economico che al momento ci sfuggono, ma che sicuramente hanno poco a che fare con la tutela dei diritti umani. (V.F.)
Grazie per la pubblicazione e grazie per il suo commento, ricco e articolato, che
spero possa suscitare un confronto serio fra coloro che hanno a cuore la pace e una convivenza civile, libera e democratica in ogni parte del mondo. (F.P.)