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La nostra Arancia Meccanica

E’ passato qualche giorno dalla diffusione del video del pestaggio avvenuto nei giorni scorsi a Marsala. Un episodio che ha riportato Marsala alle cronache nazionali, com’era già avvenuto nell’estate del 2020, quando la violenza di un gruppo di bulli si scatenò contro un giovane migrante. Ma sono davvero tante le situazioni simili che si sono verificate in questi anni in città, a conferma di un disagio sociale forte, che va affrontato con serietà. E’ condivisibile la richiesta di maggiore sicurezza per le strade del centro che ripetutamente arriva dai cittadini e di cui si sono spesso occupate anche le istituzioni. E’ comprensibile che si invochi un maggiore controllo del territorio, perchè la sicurezza è un bene pubblico, che va al di là dei colori politici.

Al di là dell’indignazione, però, c’è l’urgenza di una riflessione sulla frequenza con cui si verificano casi di questo genere. L’arresto del picchiatore del giorno non ci salva da quello di domani. Perchè la sensazione è che il valore che si dà alla vita degli altri sia sempre più basso rispetto a quella che si dà alla propria e che ogni violenza possa essere derubricata a “bravata”, come quella degli youtuber romani che hanno investito e ucciso un bimbo per il gusto di una challenge o gli studenti di un Liceo di Rovigo che hanno colpito una docente con una pistola giocattolo. Tutto ciò, naturalmente, non nasce all’improvviso. Ma è frutto di un processo di costante erosione del senso di comunità, che talvolta sembra soltanto un inciampo di fronte al desiderio indifferibile di vivere un’esperienza forte, come avveniva con i drughi di “Arancia Meccanica”, che in perenne stato di alterazione combattevano la noia picchiando anziani senzatetto, provocando incidenti stradali o commettendo stupri.

Quello che, negli anni ’70, sembrava un racconto distopico sul nostro futuro somiglia ormai alla sceneggiatura del nostro tempo. Chi ha visto il capolavoro di Kubrick, ricorderà bene la risposta durissima delle istituzioni, interamente incentrata sulla repressione per consegnare alla società uomini nuovi, attraverso il cosiddetto “trattamento Ludovico”. La grande lezione di quel film è che quel tipo di risposta non sarebbe bastata, lasciando intendere che l’intervento necessario sarebbe stato molto, molto più profondo per coinvolgere famiglie, scuole, partiti, movimenti, associazioni, parrocchie. Dobbiamo comprendere che se due giovani picchiano selvaggiamente un loro concittadino (ma varrebbe pure per un turista o un immigrato) non si tratta di un fatto privato e non serve andare a cercare un movente più o meno plausibile che spieghi la matrice della loro furia. Siamo di fronte a un dramma collettivo, a una sconfitta sociale da cui nessuno può sentirsi escluso.

Vincenzo Figlioli

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