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L’arresto di Messina Denaro e l’occasione di aprire il vaso di Pandora

C’è un prima e dopo nella vita di Matteo Messina Denaro.

Il lato A della sua storia è sicuramente quello più noto e potrebbe titolarsi “l’assassino” (o lo stragista). Comprende i fatti avvenuti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, quando il giovane Matteo Messina Denaro si distinse per omicidi e delitti orribili, tra cui spicca – per crudeltà – l’organizzazione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dai suoi carcerieri. Quel Messina Denaro, tanto apprezzato dal “capo dei capi” Totò Riina, è ritenuto anche tra gli ideatori della strategia stragista, in particolare degli attentati alle città d’arte – Roma, Firenze, Milano – che rappresentarono un ulteriore salto di qualità nell’offensiva di Cosa Nostra nei confronti di uno Stato che sembrava in ginocchio.

Il lato B della vita di Matteo Messina Denaro è, invece, quello meno noto. Potrebbe titolarsi “l’uomo d’affari”. A metà degli anni ’90, infatti, arrivò il cambio di strategia di Cosa Nostra, che sotto la guida di Bernardo Provenzano divenne sempre meno visibile: pochi fatti di sangue, tanto business. Il boss castelvetranese ha contribuito all’arricchimento dell’organizzazione criminale, avvalendosi di un gran numero di cittadini del suo territorio, che – come il re della grande distribuzione Giuseppe Grigoli – hanno tratto innegabili vantaggi economici dalla scelta di campo operata (almeno finchè non sono intervenute le inchieste giudiziarie).

Come nelle scatole cinesi, tuttavia, dentro l’economia mafiosa ci sono innumerevoli incastri che contengono piccoli e grandi beneficiari, che di fatto hanno rappresentato la base della latitanza di Matteo Messina Denaro ed anche quella del consenso di cui il boss ha beneficiato in una fascia consistente nella comunità trapanese. Ed è questo uno degli aspetti che, probabilmente, sfugge alla stampa nazionale che ogni giorno cerca elementi di interesse giornalistico tra i vicini di casa del capomafia, gli avventori dei bar o delle barberie del paese, o gli insegnanti della figlia.

La grande sfida, a questo punto, è quella di togliere il coperchio a questo enorme vaso di Pandora e fare pulizia di un sistema che ha arricchito alcune persone in barba all’interesse generale. Un sistema che ha tenuto lontano dalle nostre città i grandi operatori economici, impoverito la sanità pubblica, i servizi sociali, l’agricoltura e la marineria, rallentato l’esecuzione dei lavori pubblici, messo in fuga i giovani più promettenti. Una sfida forse ancora più difficile della cattura stessa di Messina Denaro, ma da cui passa il futuro di questa terra che, oggi più che mai, ha la grande occasione di liberarsi di quel consenso mafioso che ne ha compromesso lo sviluppo, alimentando degrado, diseguaglianze e ingiustizia sociale.

Vincenzo Figlioli

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