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Sipario semiaperto (quasi chiuso)

Domenica 27 marzo si celebra, ogni anno, la Giornata del Teatro. Una ricorrenza che nell’ultimo biennio ha assunto toni inevitabilmente malinconici, in considerazione degli effetti che la pandemia ha avuto per i lavoratori del settore, ma anche per il pubblico che ha dovuto rinunciare a rassegne, concerti ed eventi di vario genere.

Riavvolgendo il nastro a un paio di anni fa, va detto però che prima del Covid non è che il teatro sprizzasse tutta questa salute, per lo meno dalle nostre latitudini… Prendiamo Marsala: periodicamente Impero e Comunale hanno alternato periodi di apertura e chiusura, di programmazione mirata e di totale improvvisazione, accogliendo spettacoli di qualità degni di una grande città, ma anche performance nemmeno mediocri. Quasi mai c’è stata una direzione artistica e quando c’è stata (come nel caso di Moni Ovadia) non ha dato i frutti auspicati.

Abbiamo lanciato artisti che calcano stabilmente grandi palcoscenici nazionali, ma che fanno tremendamente fatica ad organizzare uno spettacolo nella propria città, finendo sballottati tra uffici pubblici e rigidità burocratiche che farebbero passare la voglia anche a un maestro zen. Abbiamo avuto una scuola di teatro diretta da una figura autorevole come Michele Perriera che ha sicuramente lasciato tanto alla città, ma anche tante iniziative private (dal Tam al Baluardo Velasco) che con ammirevole coraggio hanno alimentato il sacro fuoco dell’arte teatrale di tanti giovani marsalesi. Abbiamo avuto una rassegna come “Il Giovinetto di Mozia” della Compagnia Teatro Nuovo, che ha avuto il merito di portare in città il meglio del teatro popolare e amatoriale, grazie all’instancabile impegno del compianto Enrico Russo. Di volta in volta ci siamo ritrovati a dire che a Marsala c’è una grande tradizione teatrale o (all’opposto) che si accorre in platea solo per applaudire amici e parenti. Abbiamo visto politici entusiasti di prendere posto nelle ambite prime file (con l’immancabile pacchetto di biglietti gratuiti in dotazione) per poi uscire annoiati da esibizioni che non hanno capito.

Ed è proprio la mancanza di comprensione e culturale teatrale che fa pensare a tanti esponenti del nostro microcosmo politico che va bene continuare così, lasciando i Teatri al loro malinconico destino, perchè, in fin dei conti, chi ci tiene tanto può sempre andare a Palermo o a Catania. E pazienza se il “Sollima” è un gioiellino che tanti ci invidiano: prima o poi si riaprirà, ma senza fretta, perchè ci sono altre emergenze, altre priorità. Tutte, naturalmente, irrisolte da anni. Quanto ai giovani, si sa, a 18 anni vanno via, e avranno la possibilità di coltivare altrove le proprie passioni. Mica vorranno restare qui a cambiare le cose…

Vincenzo Figlioli

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