C’è tanto Sud nel nuovo governo Conte. E questa è una buona notizia. Non è una questione di campanilismo, sia chiaro. Anche perché, spesso i meridionali sono stati i principali nemici di se stessi e del proprio territorio. Ma non è che con i leghisti le cose siano andate meglio, come dimostrano diverse vicende, tra cui quella delle quote tonno che poco dopo le Europee ha fatto infuriare i pescatori di Favignana o i rischi legati all’approvazione della riforma sull’autonomia differenziata.
Dalla nostra prospettiva, dunque, appariva necessario un cambio di prospettiva rispetto al precedente esecutivo. Sarà importante, però, uscire dal solito schema che traduce una maggiore attenzione per il Sud con un maggiore assistenzialismo. E, a riguardo, somiglia tanto a una garanzia la presenza nella lista dei Ministri di un economista preparato come Giuseppe Provenzano, come il vicedirettore dello Svimez, l’istituto di ricerca che alcuni giorni fa ha pubblicato un rapporto allarmante sull’aumento del divario socio-economico tra Centro-Nord e Centro-Sud, invitando il mondo politico a una visione più unitaria del Paese e a porre un argine all’esodo dei giovani del Mezzogiorno puntando su investimenti infrastrutturali, soprattutto nella portualità e nei collegamenti stradali.
Non si lasci intimidire Conte dal prevedibile pressing mediatico di chi, verosimilmente, riprenderà la manfrina del “comandano i terroni”, sulla scia di un titolo lanciato alcuni giorni fa dal quotidiano Libero. Un vero governo del cambiamento dovrebbe andare davvero verso una lotta contro quelle diseguaglianze sociali e geografiche che l’Italia non è fin qui mai riusciti a scrollarsi di dosso. Ma per andare in direzione ostinata e contraria serve più coraggio, rispetto a quello che traspare dalle prime scelte di Conte e della nuova maggioranza. Sarebbe servito un governo “capace di far innamorare gli italiani”, come auspicato nei giorni scorsi da Massimo Cacciari e, con parole diverse, anche da Beppe Grillo, che aveva invitato Pd e M5S a puntare su profili tecnici di spessore. A parte qualche eccezione, nella lista dei Ministri ci sono, prevalentemente, dignitosi mestieranti della politica, lontani da quelle caratteristiche che avrebbero potuto “scaldare” i cuori degli italiani.
Al di là dei nomi e di alcuni segnali, la vera discontinuità si gioca dunque sui contenuti. Ed è lì che il nuovo governo giallorosso dovrà coltivare l’ambizione di essere, non solo diverso dal precedente, ma anche rivoluzionario. Se rimarrà ostaggio dei capricci dei leader, spalancherà le porte del potere a Matteo Salvini e a un’idea di gestione delle istituzioni potenzialmente incompatibile con i principi fondamentali della nostra Costituzione.