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Confindustria Sicilia e l’illusione antimafia

Confesso che sono tra quelli che avevano creduto alla svolta antimafia di Confindustria Sicilia. Sono tra quelli che aveva creduto che il cambiamento avesse attecchito anche in quegli ambienti che avevano isolato le denunce di Libero Grassi. Una redenzione che immaginavo figlia di un tempo nuovo e ideale prosecuzione di quanto iniziato con la “primavera siciliana” degli anni ’90, le associazioni antiracket, le denunce dei giovani di “Addio Pizzo”, e via dicendo. L’inchiesta che ha coinvolto l’ex presidente degli industriali siciliani, ricostruita in maniera eccellente dai giornalisti di Report nella puntata trasmessa lunedì sera, ha di fatto spazzato via quell’illusione, oltre che un’intera narrazione, fino ad un certo punto, apparsa priva di zone d’ombra.

Altro che cambiamento, altro che legalità: l’inchiesta su Antonello Montante e i suoi sodali sta facendo luce su un sistema tentacolare che ancora una volta sembra disegnare la Sicilia come laboratorio del potere, in cui si consumano indicibili accordi tra politica, servizi segreti, finanza, imprenditoria, mafia e logge massoniche. L’impressione è che al momento sia venuto fuori soltanto un pezzo di una storia estremamente complessa e articolata, che verosimilmente tocca tutti i principali business di questi anni: rifiuti, energie rinnovabili, gestione dell’accoglienza, e via dicendo. A vedere le facce del potere di questi ultimi dieci anni (da Lombardo a Crocetta, da Lumia ad Alfano) tornano alla mente i volti di tanti più o meno consapevoli protagonisti della nostra storia recente e del ruolo che potrebbero avere avuto all’interno del sistema Montante. Inevitabilmente, torna anche alla mente il solito Tomasi di Lampedusa e quella dannazione che in Sicilia ci portiamo dietro da secoli: «Se vogliamo che tutto rimanga come èbisogna che tutto cambi», deve aver ripetuto qualcuno mentre esattamente dieci anni fa stava tramontando un altro sistema – il cuffarismo – e i suoi protagonisti minori stavano immaginando come riposizionarsi.

Già, perché sarebbe stato inimmaginabile lasciare i siciliani liberi di costruirsi il proprio destino senza confezionargliene uno già pronto all’uso. Era inimmaginabile farsi da parte e lasciare davvero spazio ad un’altra idea di Sicilia. Così, mentre i giovani continuavano ad emigrare, le aziende a fallire e i ponti a crollare, c’era un nuovo potere che stava per indossare il vestito buono per occupare le stanze dei bottoni, utilizzando, da un lato, il passamontagna dell’antimafia per le proprie passerelle pubbliche, dall’altro la scaltrezza di tanti cuffariani riciclati, per tutelare affari e interessi privati. In tutto ciò, a volte lo dimentichiamo, la Sicilia è sull’orlo del fallimento. E la sensazione è che a qualcuno vada benissimo così.

Vincenzo Figlioli

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