Il 2 febbraio del 1956 il sociologo friulano Danilo Dolci fu arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria. Trasferitosi in Sicilia Occidentale da alcuni anni, Dolci aveva cominciato a portare avanti iniziative simboliche di grande valore civile, riuscendo ad accendere i riflettori dei media e a sollecitare l’attenzione delle istituzioni sulle condizioni in cui viveva la comunità locale. Una di quelle iniziative lo vide capeggiare un gruppo di disoccupati del luogo, che furono protagonisti di uno “sciopero alla rovescia”. Il principio era il seguente: se la protesta di un lavoratore si concretizzava nell’astensione dal lavoro, un disoccupato poteva protestare lavorando. Così, un centinaio di partinicesi, affiancarono Dolci per riattivare una strada comunale abbandonata. A fermarli fu l’intervento della polizia, che interruppe lo “sciopero alla rovescia”, arrestando Dolci e alcuni suoi collaboratori per “occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale”. Il Tribunale, peraltro, negò agli arrestati la libertà provvisoria. Il successivo processo fu seguito con attenzione dall’opinione pubblica nazionale e un padre costituente come Piero Calamandrei scese in campo in prima persona, difendendo Danilo Dolci durante il processo. Questo uno dei passaggi della sua arringa difensiva: «[Il Pubblico Ministero] ha detto che i giudici non devono tenere conto delle “correnti di pensiero”. Ma cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta. […] E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà». Di fatto, in quelle settimane si confrontarono due modi diversi di intendere il concetto di legalità: da un lato c’era l’autoritarismo gerarchico, ancora intriso di un modello culturale non lontano dal fascismo; dall’altro c’era l’idea che occorreva armarsi quotidianamente dei Principi Fondamentali della nuova Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio del 1948, per renderne effettiva l’applicazione (nel caso specifico, si faceva riferimento all’articolo 4).
Senza ribelli, senza sovversivi, senza donne e uomini capaci di rendersi protagonisti di azioni di contestazione o disobbedienza civile, andando contro tradizioni e consuetudini, il nostro Paese sarebbe ancora quello in cui si arrestava Danilo Dolci, la censura bloccava la distribuzione dei film di Pasolini o Bertolucci e i pazienti psichiatrici finivano in manicomio: avremmo meno diritti e saremmo decisamente meno liberi. D’altro canto, è vero anche che periodicamente l’Italia è stato attraversata da venti e umori maggiormente inclini alla restaurazione e a un’interpretazione “minimalista” della Carta Costituzionale. E’ accaduto in questi ultimi anni, in particolare sul fronte dell’accoglienza ai migranti, con la legge Bossi – Fini, i respingimenti dei barconi provenienti dal Nord Africa e la legge sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Provvedimenti profondamente lontani, ad esempio, da quell’articolo 10 che riconosce il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica allo “straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.
Pensando dunque alla vicenda del sindaco di Riace Mimmo Lucano, è chiaro che toccherà alla magistratura accertare eventuali responsabilita’ penali connesse all’operato del primo cittadino calabrese, che probabilmente avrà violato la legge, ma non necessariamente lo spirito della Costituzione. Così come quei pescatori di Lampedusa a cui il regista Gianfranco Rosi ha dedicato il documentario “Fuocoammare”, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Uomini semplici, ma capaci di salvare decine e decine di vite umane in omaggio alla superiore legge del mare. Mai come oggi servirebbero uomini come loro o come Piero Calamandrei, capaci di andare al di là dei tweet e della propaganda per ricordarci qual è il patrimonio storico e giuridico da cui proveniamo e quanta strada dobbiamo ancora percorrere per rendere vivo e concreto l’orizzonte di valori e ideali che i padri costituenti ci avevano indicato 70 anni fa.