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Qualche interrogativo sul boom dei centri scommesse

Sono passati dieci anni dall’inizio della crisi economica che dagli Stati Uniti d’America ha allargato i suoi effetti all’Europa. Gli anniversari a “cifra tonda” sono tradizionalmente quelli che si prestano maggiormente ai bilanci e, in quest’ottica, le ricerche e gli studi condotti sono concordi nel considerare il settore dell’artigianato come quello che ha sofferto maggiormente in Italia, in particolar modo sul fronte dell’edilizia, delle imprese metalmeccaniche, dell’agricoltura e della marineria. Tra qualche decennio, con ogni probabilità, gli studiosi storicizzeranno questa fase trovando una definizione ben precisa, come avvenne in passato con le varie Rivoluzioni Industriali.

Un settore che non conosce crisi – e chissà se quest’aspetto diventerà oggetto di studio – è quello del “gioco”. Basta fare un giro per le nostre città del Sud per accorgersi che i centri storici, le contrade e le periferie sono unite da un denominatore comune: il continuo proliferare di agenzie di scommesse in franchising. Compaiono come i funghi, con nomi più classici (Sisal, Snai, Lottomatica) o tendenzialmente anglofoni (Goldbet, Better, Bwin), impiegano tanti giovani e tanti altri ne accolgono per ricevere le loro “puntate” sulle partite dei vari campionati o su tanto altro. Per molti ragazzi, ormai, sono diventate una sorta di “seconda casa” in cui trascorrere pomeriggi o giornate intere come avveniva in passato in ben altre agenzie di socializzazione (parrocchie, oratori, partiti, circoli e via dicendo). Sono lo specchio dei nostri tempi, si dirà. Ma è pur vero che davanti allo specchio ci si dovrebbe fare qualche domanda, soprattutto quando il fenomeno sembra assumere dimensioni strabordanti.

Qualche giorno fa, a Palermo, l’operazione “Game Over” ha portato all’arresto di 31 soggetti, uno dei quali – Benedetto Bacchi – viene accusato di aver realizzato una rete di ben 700 agenzie abusive in tutta Italia con l’appoggio delle cosche mafiose. Nulla a che vedere con i centri dai nomi più blasonati sopra citati, per carità. Però gli interrogativi sul boom di tale settore appaiono più che leciti: possibile che in un Paese che prevede un tetto al numero di farmacie che è possibile aprire in una città (una ogni 3300 abitanti), non ci sia alcun limite al numero di agenzie di scommesse?

Un tema del genere potrebbe essere oggetto di riflessione da parte del nuovo Parlamento. A meno che, i nostri rappresentanti alla Camera e al Senato non preferiscano pensare a tutelare le entrate erariali derivanti dal gioco d’azzardo legalizzato. In fin dei conti, il decennale della crisi economica coincide anche con il decennale dell’irruzione nel nostro lessico quotidiano di un’altra locuzione anglofona, “spending review”, nel nome della quale i nostri governi hanno ritenuto lecito ridurre il perimetro dell’intervento pubblico e raccogliere tutte le risorse possibili per far quadrare i conti. Chissà se in Inghilterra i bookmakers accetterebbero scommesse anche sull’approvazione di una legge che limiti il proliferare dei centri scommesse… A naso, viene da pensare che un’eventualità del genere garantirebbe agli scommettitori vincite molto alte…

Vincenzo Figlioli

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