Le consultazioni elettorali e referendarie nella maggior parte dei casi si tengono in primavera (talvolta inoltrata). Chi segue la politica, sa bene che gli analisti che tracciano le proprie previsioni sull’affluenza alle urne tengono altamente in considerazione il rischio che di fronte a un improvviso innalzamento delle temperature gli elettori meno motivati possano decidere di disertare i seggi, preferendo una giornata al mare con familiari e amici. In autunno la prospettiva cambia e, teoricamente, il condizionamento meteorologico dovrebbe pesare meno. Tutto ciò, però, non basta a tranquillizzare i dirigenti dei vari partiti, che continuano a temere un astensionismo da record. Se la questione non fosse estremamente seria, verrebbe da pensare che domenica 5 novembre molti potrebbero decidere di sostituire il mare con i boschi o i campi, approfittando della giornata festiva per una gita fuori porta alla ricerca di funghi o castagne.
In realtà, il probabile calo dell’affluenza non è mai legato né a questioni meteorologiche, né al possibile exploit del partito dei porcini o delle caldarroste. In ogni cittadino la motivazione al voto è un fattore interiore, legato ad altri aspetti: la fiducia nella capacità delle istituzioni di rendere migliore la sua vita, la speranza in un futuro migliore. L’astensionismo, dunque, non è altro che il venir meno della speranza e della fiducia. Per averne conferma, in questa campagna elettorale per le regionali, basterebbe andare a parlare con chi ha perso il proprio lavoro, con chi fatica ad arrivare alla fine del mese, con chi ogni giorno è tentato di non alzare la saracinesca del proprio negozio, con i giovani che hanno lasciato la Sicilia (e che difficilmente torneranno per votare) rassegnati all’idea di potersi realizzare in una terra che non riesce ad essere madre dei propri figli. Quei pochi candidati che hanno provato a fare un giro per i mercatini o i quartieri popolari ne hanno avuto un’amara dimostrazione. Ma la disillusione, nel frattempo, ha messo radici anche presso realtà sociali in cui l’esercizio del diritto di voti è stato negli anni una costante.
Lungi da me pensare che tutti i politici siano uguali e che non ci sia proprio differenza tra candidati che hanno pensato solo alle proprie carriere politiche e al benessere delle proprie corti a fronte di candidati che hanno mostrato maggiore sensibilità verso le reali esigenze del territorio. Ma è evidente che le classi dirigenti che si sono alternate negli ultimi anni avranno delle responsabilità profonde se i cittadini vedono sempre più il Parlamento, le Regioni, i Comuni come un caos indistinto in cui si fa fatica a separare chi rappresenta le istituzioni con dignità e onore da chi le usa per i propri tornaconti. Il problema è che molti politici preferiscono pensare che siano i cittadini a non capire o i giornalisti a informare in maniera distorta, alimentando populismo e confusione. Poi ci sono gli altri, che più cinicamente sanno che meno gente va a votare, più diventa facile per loro mantenere il proprio potere. E’ proprio per questo che, da sempre, sono convinto che restare a casa (o scegliere il mare, i funghi o le castagne) sia in fin dei conti un pessimo affare. Almeno, per chi vuole davvero provare a cambiare le cose.