Chi in questi anni ha scritto di immigrazione, sul web non ha potuto fare a meno di imbattersi nel blog Fortress Europe, creato e curato da Gabriele Del Grande. Una pagina in continuo aggiornamento che è diventata punto di riferimento per orientarsi intorno a un fenomeno raccontato male dai media e quotidianamente strumentalizzato dalla politica.
Su Fortress Europe ci sono informazioni, numeri e storie che aiutano a capire molto sulle ragioni che conducono i migranti a lasciare i loro Paesi per tentare di arrivare in Europa. Logico dunque che nell’organizzare quattro anni fa la terza edizione del Festival del Giornalismo d’Inchiesta a Marsala (interamente dedicata al Mediterraneo) si decidesse di invitare Gabriele Del Grande. Fu in quella occasione che ebbi l’occasione di conoscerlo personalmente e di apprezzarne la schiettezza delle argomentazioni e la curiosità con cui ascoltava i suoi interlocutori, senza vezzi da star. In quei giorni, tra l’altro, erano a Marsala anche Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe, Susan Dabbous e Andrea Vignali, i quattro giornalisti italiani che erano stati rapiti in Siria e rilasciati dopo 11 giorni di prigionia. Vennero a raccontare la loro esperienza e a spiegare cosa avevano visto in un Paese che già da due anni era in guerra. La Siria e il Mediterraneo, nel frattempo, sono rimasti al centro dell’attenzione internazionale.
E Gabriele Del Grande ha continuato a raccontarli con i suoi post su Fortress Europe, i suoi libri e il documentario “Io sto con la sposa”, un progetto meravigliosamente anarchico, realizzato attraverso una produzione dal basso e portato fino al Festival di Venezia. Ci siamo risentiti per la promozione del film un paio d’anni addietro, restando d’accordo sulla possibilità di organizzare qualcos’altro assieme.
Dieci giorni fa, quando ho appreso che Gabriele Del Grande era stato fermato al confine tra Siria e Turchia, ho sperato che tutto si risolvesse nel giro di qualche ora. Mi sono detto che difficilmente uno Stato europeo avrebbe potuto tenere a lungo in una struttura detentiva un documentarista italiano. Ma la Turchia, attualmente, è un Paese in cui il rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali è ormai ridotto al minimo. Erdogan ha approfittato del tentato colpo di Stato della scorsa estate per scatenare una deriva autoritaria che ha portato agli arresti di numerosi magistrati, giornalisti e oppositori politici, fino alla convocazione di un Referendum Costituzionale che si è celebrato domenica scorsa in un clima di altissima tensione e con un esito probabilmente falsato dai brogli orchestrati dal governo in carica. In una situazione del genere, Erdogan ritiene dunque di potersi permettere anche l’arresto di un documentarista italiano, che ha già dimostrato di non accontentarsi delle verità di regime per farsi un’idea su come funziona la gestione dei flussi migratori.
In queste ore Gabriele Del Grande (a cui è stato impedito di incontrare il proprio avvocato, oltre che il viceconsole italiano ad Ankara) ha chiesto tramite il web una mobilitazione mediatica sul suo caso. Un invito che sta scatenando un opportuno tam tam sui mezzi di comunicazione e che pare stia convincendo anche le istituzioni italiane ad adottare un atteggiamento più deciso sul caso. Anche la nostra testata intende unirsi alla campagna #FreeGabriele promossa in queste ore, nel solco dell’attenzione già mostrata per il caso di Giulio Regeni. In situazioni di questo genere, ribadiamo con orgoglio la nostra scelta di essere un giornale di provincia senza restare confinati in una logica miopemente provinciale. Anche perchè, vale la pena ricordarlo, il Mediterraneo è anche casa nostra.