Per chi è nato alla fine degli anni ’70, Carlo Azeglio Ciampi era quello che firmava le banconote. Le lire di carta, infatti, recavano in calce il nome dell’allora governatore della Banca d’Italia. E la proverbiale curiosità dei bambini ha indotto tanti genitori, magari nel bel mezzo di una giocata a carte natalizia, a dare ai propri figli una veloce spiegazione su chi fosse il firmatario di quelle banconote che tenevano gelosamente tra le mani. Di lì a qualche anno, Ciampi fu designato presidente del Consiglio e molti di quei bambini, diventati adolescenti, avranno sicuramente ricordato il suo nome anche per la questione delle banconote. Dopo di che, nell’immaginario collettivo Ciampi divenne il presidente tecnico che doveva restituire credibilità e decoro alle istituzioni compromesse dagli scandali di Tangentopoli e sconvolto dalle stragi di mafia. Gli diedero un anno di tempo per lavorare e in condizioni molto difficili si rivelò capace di interventi importanti, finchè la politica non decise di riprendersi i suoi spazi. Nel ’96 l’ex governatore tornò al centro delle cronache quando Romano Prodi lo nominò Ministro delle Finanze e le sue scelte politiche rigorose diedero un contributo fondamentale per fare entrare l’Italia nell’Unione Europea, con l’intuizione last minute dell’Eurotassa che fu poi (caso più unico che raro nel nostro Paese) parzialmente restituita ai cittadini. L’elezione alla Presidenza della Repubblica, nel ’99, fu salutata da ampi consensi, così come il suo impegno volto a custodire i valori dell’unità nazionale, in una fase politica funestata dalla retorica antimeridionalista della Lega Nord.
Da studente neolaureato, ricordo bene il suo arrivo in provincia di Trapani nel febbraio 2013, la tappa marsalese del suo tour siciliano e il sobrio discorso tenuto davanti l’ingresso di Palazzo VII Aprile e la visita al Museo Risorgimentale. In quegli anni infiammati dall’aspro dibattito sulle leggi ad personam del governo Berlusconi mi sarei aspettato un atteggiamento più rigoroso, che probabilmente Scalfaro o Pertini avrebbero avuto per frenare il conflitto di interessi che stava paralizzando le istituzioni. Ma tutto sommato, Ciampi riuscì a tenere insieme i cocci di un Paese che a tratti sembrava davvero sull’orlo della guerra civile.
L’unica vera e indelebile delusione, per quanto mi riguarda, si lega al pomeriggio del 20 luglio 2001, quando lo vidi assieme a Berlusconi in un messaggio a rete unificate durante il G8 di Genova, poco dopo la morte di Carlo Giuliani. “Provo sgomento e dolore immenso per la giovane vita spezzata. Mi rivolgo ai dimostranti perchè cessi da subito questa cieca violenza che non dà contributo alcuno alla soluzione dei problemi della povertà nel mondo. Il vertice che stiamo tenendo a Genova vede per la prima volta riuniti insieme i responsabili dei Paesi industrializzati e dei Paesi poveri del mondo e i vertici delle istituzioni internazionali in cui gli uni e gli altri collaborano congiuntamente. Le grandi attese e speranze suscitate da questo vertice non debbono essere vanificate da atti insensati, indegni della nostra democrazia e della nostra civiltà’. Quel giorno Ciampi dimostrò di aver capito poco di quanto stava accadendo a Genova, come purtroppo tanti altri italiani. Mi piace pensare che la sua onestà intellettuale lo abbia portato successivamente a riconosce l’errore di valutazione di quella giornata, che non gli consentì di comprendere che al G8 era in atto una vera e propria sospensione del diritto, come poi fu dimostrato dai racconti delle violenze consumate alla “Diaz” e a Bolzaneto. Al netto di questa macchia resta comunque l’eredità morale di un onesto servitore dello Stato, di gran lunga preferibile rispetto a tanti che lo hanno preceduto e ad altri che sono arrivati dopo.