Il dato è stato reso pubblico da un interessante dossier pubblicato ieri dal Corriere della Sera: lo scorso 31 dicembre il Ministero dello Sviluppo Economico (e già sul nome del dicastero ci sarebbe tanto da dire) ha stilato l’elenco delle concessioni riguardanti la ricerca e la coltivazione di idrocarburi in mare e sulla terraferma. Ne sono interessate gran parte delle Regioni italiane, con un’alta concentrazione lungo l’Adriatico. Ma, naturalmente, anche la Sicilia non ne è esente: i cercatori d’oro nero potranno darsi da fare nei pressi di Pantelleria, ma anche nella zona che sta davanti alle spiagge che vanno da Marina di Modica, a Portopalo di Capo Passero fino a Marzamemi. Restano fuori per il momento le Egadi. Ma com’è stato più volte ripetuto, poco cambia: perché il Mediterraneo è un mare chiuso e se dovesse verificarsi quello che è accaduto nel 2010 nel Golfo del Messico con l’esplosione di una delle piattaforme della British Petroleum, le conseguenze potrebbero riguardare gran parte del Mare Nostrum, inclusi Stagnone ed Egadi. Senza considerare che l’utilizzo degli air gun per le ricerche sono incompatibili con la presenza di molte specie ittiche. Come se ne esce? Decidendo cosa si vuol fare davvero di questo Paese. Se pensiamo che il gioco valga la candela e che un giorno potremmo scoprire di vivere nell’agio come nella penisola arabica, allora perforiamo pure. Se, invece, riteniamo che la nostra ricchezza risieda nell’arte, nella cultura, nell’enogastronomia, nella moda e che ancora troppo poco si sia investito sulle rinnovabili per sostenere il nostro stile di vita, allora dovremmo deciderci a mettere da parte il cappello texano in stile J.R. Ewing (quanti danni ha fatto il modello culturale televisivo che ci hanno venduto negli anni ’80…) e puntare su un concetto di sviluppo economico più adeguato rispetto alle nostre risorse e alle nostre potenzialità. Magari, guidando un processo che riunisca tutti i paesi del Mediterraneo attorno a una comune idea di tutela ambientale, che passi da una moratoria sulle trivellazioni nel Mare Nostrum. In un futuro non troppo lontano, sarebbe auspicabile che chi si candiderà a guidare la Sicilia abbia una visione chiara sull’argomento. E, soprattutto, che la mantenga anche dopo un’eventuale elezione.