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Il Natale e l’umanità perduta

E’ arrivato anche quest’anno. Con qualche raggio di sole in più che ci accompagna tra gli ultimi impegni di lavoro e il rush finale alla ricerca di un regalo gradito o della novità spiazzante per animare il cenone del 24 o il pranzo del 25. Inutile nasconderci: nonostante la crisi, il nostro Natale continua ad essere influenzato dai riti consumistici che abbiamo cominciato a scoprire dopo il boom economico fino a farne un’autentica fissazione negli edonistici anni ’80. Il problema è che facciamo una gran fatica ad adeguarci ai cambiamenti, che da anni ormai si manifestano a tutti i livelli. Se ci guardassimo un po’ più intorno, riuscendo a sollevare il nostro sguardo dai soliti smartphone, noteremmo come l’aumento dei poveri non sia solo una statistica prodotta dagli istituti di ricerca, ma un’autentica emergenza sociale. E’ vero, spesso il tema del disagio viene utilizzato in maniera strumentale. Ed è vero anche che siamo diventati terribilmente diffidenti verso la politica e persino verso le iniziative benefiche o solidali. Ma la comprensibile diffidenza non deve trasformarsi in cinismo. La solidarietà non sta soltanto nel dare qualcosa a chi ha meno di noi. Ma risiede prima d’ogni cosa nella capacità di vedere in un senzatetto, un mendicante o un rifugiato una persona a cui dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti, a partire da quello di avere un tetto sulla testa, un pasto caldo, prestazioni sanitarie dignitose. Dovremmo ricordare più spesso che la povertà o il disagio sono, il più delle volte, frutto del caso. E che nascere in una famiglia più agiata non è un merito, ma una coincidenza. Basterebbe passare dalle mense sociali per rendersene conto un po’ di più. Ma se proprio non riusciamo a fare di meglio, cerchiamo di approfittare del tempo che ci viene restituito in queste giornate di festa per recuperare un sano spazio di riflessione. E, magari, anche un po’ di umanità.

Vincenzo Figlioli

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