Non capita tutti i giorni che un Tribunale condanni per concorso esterno in associazione mafiosa la sorella del più noto tra i latitanti italiani. Né che, contestualmente, ne condanni anche il nipote. Eppure, i media nazionali hanno dato ben poco spazio all’atto finale del processo scaturito dalla prima operazione “Eden”, conclusosi a Marsala martedì sera con le condanne a 16 e a 13 anni per Francesco Guttadauro e Patrizia Messina Denaro. Una mancanza d’attenzione che ha inspiegabilmente caratterizzato un po’ tutto l’iter di uno tra i processi di mafia più importanti degli ultimi anni. Le grandi redazioni hanno preferito non inviare i propri cronisti di giudiziaria a presenziare alle udienze tenutesi presso l’aula “Paolo Borsellino”. Conseguentemente, a parte i giornali e le emittenti più radicate sul territorio provinciale, ben pochi hanno riservato spazi adeguati al racconto della vicenda. Un’occasione mancata per raccontare un territorio complesso, in cui Cosa Nostra coniuga vecchie strategie e nuove modalità d’azione. Qualche mese fa – lo abbiamo già citato in un’altra occasione – Matteo Renzi disse alla stampa di non riuscire a dormire la notte al pensiero che Matteo Messina Denaro fosse ancora a piede libero. La sortita aveva l’evidente sapore dell’esagerazione. Ma per un po’ ci fece sperare che la lotta alla mafia venisse considerata una priorità dal governo guidato dall’ex sindaco di Firenze. E che anche i grandi giornali o i principali tg, magari seguendo la scia del premier, avrebbero cominciato a dedicare approfondimenti quotidiani alla caccia al boss di Castelvetrano. Speranza che ha presto lasciato spazio alla disillusione. A noi resta la convinzione che la guerra alla mafia verrà vinta il giorno in cui anche l’informazione nazionale farà uno sforzo serio per raccontarla, lasciando meno soli i cronisti locali di giudiziaria, che con coraggio, professionalità ed equilibrio ci informano sulle strategie dei clan e delle reti di fiancheggiatori che, a vari livelli, ne proteggono gli interessi.