Grandi cambiamenti nella gestione dell’immigrazione in provincia di Trapani. Nei giorni scorsi, infatti, il prefetto di Trapani Leopoldo Falco ha comunicato la chiusura del Cie Serraino Vulpitta e del Cara di Salinagrande. Due centri che hanno sicuramente caratteristiche e storie diverse, ma che spesso erano diventati oggetto di contestazione per le condizioni in cui vivevano i loro “ospiti”.
La storia del “Serraino Vulpitta”, in particolare, resta inevitabilmente legata ai fatti della notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1999. Nella struttura, ricavata in un’ala di uno storico istituto geriatrico, nei primi anni venivano stipate fino a 180 persone (in media 12 per stanza). Una situazione che provocava frequenti ribellioni e tentativi di fuga. Durante uno di questi episodi, alcuni migranti diedero fuoco ai materassi della propria cella. Ma la porta del ballatoio era chiusa a chiave e il fuoco divampò prima che potessero arrivare i soccorsi. Tre persone morirono quella stessa notte e altre tre nei giorni successivi, dopo essere stati ricoverati presso il Centro grandi ustioni. Negli anni successivi, con il cambiamento della legislazione italiana in materia di immigrazione, il “Serraino Vulpitta” fu riconvertito da Centro di Permanenza Temporanea in Centro di Identificazione ed Espulsione, riservato ai migranti sprovvisti di permesso di soggiorno, prima che l’apertura dell’altro Cie di Milo dirottasse la maggior parte di essi verso la megastruttura costruita nella periferia trapanese. Finchè, come spiegato dal prefetto Falco, nei giorni scorsi un decreto del Ministero degli Interni, di concerto con il dicastero dell’Economia e delle Finanze non ne ha disposto la definitiva chiusura. “Si tratta di un luogo che ha rappresentato la perdita di libertà, che ha ospitato dolore e anche morte – si legge in una nota del movimento politico Trapani Cambia -. Adesso chiediamo che ritorni alla città con lo scopo per cui era stata donata la struttura: come luogo di accoglienza per chi non ha niente, per chi non ha una casa. Trapani vive una emergenza legata alla povertà che non ha precedenti. Ci appelliamo al senso di comunità che chi amministra la città dovrebbe avere. Trapani non può permettersi un altro luogo abbandonato”.
Diversa, come detto la storia della struttura di Salinagrande, per anni adibita a Centro d’accoglienza per richiedenti asilo. “Un vero e proprio abisso infernale, un lager” , lo definì Rosario Crocetta, quando nel 2011, da parlamentare europeo, andò a verificare le condizioni in cui vivevano i 250 profughi che si trovavano al suo interno. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il racconto del capo delegazione Cecilia Wikstrom: “A Salinagrande l’acqua nelle docce è fredda, non ci sono le porte nei bagni, manca lo scarico, i dormitori sono affollatissimi. In queste condizioni è davvero difficile tutelare la dignità umana. Lì – ha spiegato l’europarlamentare svedese – ci sono persone senza speranze, famiglie intere con bambini piccolissimi. E’ importante prendere sul serio le loro esigenze”. Condizioni che provocarono, anche in questo caso frequenti tensioni all’interno della struttura.
Adesso, dopo anni di demagogia e improvvisazione, la politica italiana sull’immigrazione sta cominciando timidamente a cambiare e, almento per quanto riguarda i richiedenti asilo, si punta su un numero maggiore di centri, ma con dimensioni più contenute, teoricamente in grado di garantire una maggiore vivibilità ai migranti, e su tempi più rapidi di attesa per i migranti. Lo stesso prefetto Falco, dopo diversi appelli al Ministro Alfano, ha infatti commentato con soddisfazione gli interventi più recenti del governo, che porteranno a un aumento delle Commissioni Territoriali a cui viene demandata la valutazione delle richieste di asilo politico.