Francesco Baccini al Teatro Impero di Marsala il 12 gennaio è approdato con il suo ultimo progetto “Archi e Frecce” con le Alter Echo String Quartet e il chitarrista Michele Cusato, nell’ambito della rassegna teatrale “Lo Stagnone… scene di uno spettacolo” organizzato dalla Compagnia Sipario. Nei camerini, abbiamo intervistato il cantautore genovese.
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Sul palco interpreterai i brani che hanno tracciato la tua carriera, in una nuova veste. Come nasce questa esigenza?
Nasce da Lucio Dalla. Durante la pandemia, a casa, sul computer ho rivisto immagini dell’ultimo tour che ha fatto Lucio, superacustico, con un sestetto formato tra gli altri, da contrabbasso, lui al clarinetto e un pianoforte. Le versioni di quei brani erano talmente emozionanti che non riuscivo più ad ascoltare altro, volevo che i miei brani avessero quella veste lì. Qualche giorno dopo mi chiamano le Alter Echo e mi dicono: ‘perchè non collaboriamo?’. E da lì nasce il progetto che è diventato poi un album e un tour.
In ‘Archi e Freccie’ dai nuova luce a ‘Genova blues’, brano che hai cantato con Fabrizio De Andrè nel 1990. Della scuola genovese ti sei sempre distinto per l’ironia dei testi. Ti senti ancora di appartenere a quella connotazione o nel tempo si è snaturata?
Non è esistita mai una scuola. Lo diceva lo stesso De Andrè, era un gruppo di amici che faceva musica in un momento dove le canzonette di Sanremo erano diverse. Da ragazzo ascoltavo la musica classica, i cantanti mi facevano un pò ridere e un giorno i miei cugini più grandi mi fecero ascoltare i dischi di De Andrè e Tenco: lì ho capito che se assieme alla musica c’è un testo tutto cambia. Ho iniziato a scrivere le canzoni per gioco. Fu mia madre a dirmi ‘vuoi fare il cantante?’. Per me era impensabile, ero timido. Ma il giorno dopo mi misi al piano e iniziai a cantare. Agli inizi andavo nei locali dove si faceva piano bar e provavo così, chiedendo di poter cantare un pezzo.
Omaggi Tenco e molti dicono che gli assomigliavi. Poi hai realizzato l’album ‘Baccini canta Tenco’ che ti è valsa una Targa Tenco. In quel disco peraltro, prodotto da Raffaele Abbate, suonava il chitarrista Armando Corsi scomparso qualche mese fa.
Il mio vero scopritore è stato il giornalista Rai Vincenzo Mollica. Mi fece delle riprese al piano e passava di notte le mie canzoni. De Andrè vide me in tv ed esclamò ‘Luigi!’. E invece ero io. Poi ad un concerto in un locale a Milano dove presentavo alla stampa il mio disco, vidi Fabrizio in fondo alla sala. Con Lucio Dalla fu lo stesso: mi vide per la prima volta ed è sbiancato per la somiglianza. Così è nata la nostra amicizia, mi disse se volevo venire all’ultima data del tour “Dalla-Morandi” a Urbino per fare alcuni brani. Infatti poi sono entrato nella sua agenzia, di Bologna, dove erano tutti artisti bolognesi tranne me e siccome cantavo ‘Le donne di Modena’, tutti pensavano che fossi emiliano.
Dall’organetto Bontempi al pianoforte la tua musica si è evoluta. Oggi nel panorama italiano c’è un’involuzione nel panorama artistico. Qual è il tuo sguardo critico?
Se facessi musica oggi me ne andrei all’estero. E lo sto facendo a 60 anni: un manager, ex presidente di una multinazionale sudamericana, ha sentito le mie canzoni e vuole proporle in quel mercato; a marzo uscirà ‘Maschi contro femmine’ in spagnolo con un gruppo cileno; le canzoni verranno tradotte, c’è un coach che mi segue in questo. Quest’anno in Italia inoltre, uscirà un disco di inediti, l’ultimo risale al 2007, quindi dopo 17-18 anni, peggio dei Cure.