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La conta dei giorni sbagliati, il nuovo romanzo di Francesca Incandela

La conta dei giorni sbagliati (Multiverso Edizioni, pp. 134, euro 12.50) è un titolo molto bello e lirico per un libro che appartiene alla categoria forse in via di estinzione dei romanzi brevi o dei racconti lunghi, e che si inserisce per certi versi a buon diritto nel solco di una certa letteratura di genere – negli ultimi tempi di grande visibilità ma pure francamente inflazionato – che Francesca Incandela, narratrice e poeta mazarese, pratica tuttavia da tempi non sospetti né sospesi e con cognizione di causa e di stile. Come infatti la stessa autrice dichiara nella corposa nota finale, che diventa per l’autrice un momento di autoriflessione sulla sua scrittura, oltre che una sorta di bilancio esistenziale sulla sua attività letteraria, le donne sono spesso protagoniste dei suoi libri. In questo libro, però, Francesca è riuscita nell’intento di raccontare la storia di una donna, e di una donna del sud, senza per questo inciampare in luoghi comuni, stereotipi, didascalie di tipo pedagogico o nei soliti regionalismi, come tanta narrativa enunciatamente ‘al femminile’ o di ambientazione meridionale (più o meno interessante) che negli ultimi anni impingua la scena editoriale italiana.

La narrazione si ispira a una storia vera e si dipana in due tempi: il primo tempo è ambientato in Aspromonte, e più in generale in un meridione arcaico, impoverito dalla recente guerra (la seconda guerra mondiale) e dalla incessante emigrazione, e racconta la crescita della protagonista, Silvia, orfana di madre, costretta a badare sin da piccola ai fratelli e al padre, un pastore quasi sempre assente, taciturno e immerso nel lavoro. A sedici anni, sempre per volontà del padre e di una zia anaffettiva, la protagonista è costretta a sposare un uomo molto più anziano di lei, un campiere al servizio di un nobile decaduto diventato ricco dopo la morte del suo padrone. Sullo sfondo sono riconoscibili i primi anni ’60 (l’emigrazione verso il nord, la Cassa per il mezzogiorno, le penose condizioni dei lavoratori). La prima parte del racconto si conclude con la fuga di Silvia per le violenze subite del marito.

Nel secondo tempo della narrazione ritroviamo la protagonista a Palermo che assume una nuova identità (Rita) e sembra essersi rassegnata a subire il suo destino, ma sarà l’incontro con un giovane a fornirle un’occasione di riscatto e una seconda possibilità per riappropriarsi della sua vita. Siamo ormai alla fine degli anni ‘60 e agli inizi del decennio successivo, con i fermenti rivoluzionari e di contestazione giovanile che prepareranno gli anni di piombo.

Una dettagliata appendice storico-cronologica dà pienamente conto al lettore del contesto socieconomico e politico in cui è ambientata tutta la vicenda.

Improntato a un’esplicita tensione di denuncia sociale, e pur rivendicando una parentela genetica con quella letteratura ‘al femminile’ cui accennavo all’inizio, oggi particolarmente in voga, quello di Francesca Incandela non è comunque un racconto che ammicca frontalmente al lettore in modo emotivo o ricattatorio, per irretirlo tra le maglie obbligate del messaggio ‘importante’. Non c’è un lieto fine, non ci sono scorciatoie di tipo sociologico, e persino il contesto storico e sociale in cui è ambientato il romanzo – sebbene sia fondamentale nell’economia tematica di questa storia (soprattutto nella seconda parte) – rimane comunque sullo sfondo.

Per chi conosce la produzione di Francesca Incandela, questo nuovo titolo si può considerare il libro della maturità, concepito e scritto dopo una lunga incubazione, a differenza delle prove precedenti che hanno avuto una gestazione più veloce. Come la stessa autrice puntualizza, quasi con orgoglio, ancora una volta nella nota: “Se per scrivere i miei romanzi ho impiegato sette/otto mesi, per arrivare a definire La conta dei giorni sbagliati ho impiegato circa un decennio. Lo consegno alla benevolenza dei lettori e alle riflessioni di coloro che vissero appieno quel periodo post-bellico, ma soprattutto gli anni’70, rivoluzionari, contestatari, violenti in cui le donne hanno avuto, ancora una volta, un ruolo centrale”. Una maturità che si rileva anche sul piano stilistico e della consapevolezza letteraria: una lingua schietta e precisa, nel ritmo e nelle scelte lessicali, in cui Francesca Incandela sembra anche far tesoro sia delle sue esperienze di scrittura in versi che della sua militanza come autrice teatrale (specialmente nei dialoghi).

Francesco Vinci

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Tags: Francesca Incandela