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Non è un Paese per cacadubbi

Potenza di TV e social media. Anzi onnipotenza, ormai… Per screditare una persona specchiata, poniamo il caso di un giornalista, uno di quelli bravi e scrupolosi, autorevole e non autoritario (non farò nomi, metteteci voi la faccia) occorre solo aspettare che se ne presenti la prima occasione utile. E ci si può giurare, non tarderà ad arrivare. Mettiamo che questa persona abbia espresso giudizi disallineati sulla guerra in Ucraina. Pensieri lontani dal mainstream di appartenenza. Stessa identica cosa abbia fatto con la guerra nella Striscia di Gaza. L’uomo, lo capisce anche un bambino, non si allinea per indole e per filosofia. Non ammette il “partito preso”, non odia per prescrizione né per procura. Non ama giudicare a priori. Probabilmente ama studiare, raccogliere informazioni, metterle sul piatto, soppesarle, rivederle. Non è raro che su una stessa questione possa cambiare idea nel corso del tempo, rivedere costantemente i termini del rompicapo. Nel profondo si sente un uomo libero dentro, prima di tutto. Ragionare serenamente sulle variabili. Sulle condizioni mutate. A questo gli sembra sia stato principalmente educato. Nella sua testa c’è una sorta di costante e fredda rivoluzione permanente, con cui fare i conti ogni giorno. È figlio dell’Illuminismo, lui, ha studiato alla scuola di Cartesio nutrendosi di pane e dubbio. Anzi, il suo pensiero è tappezzato di montagne di dubbi. La sua lotta incentrata contro le verità assolute. Per non rimanerne succube e prigioniero. A rischio anche di sfiorare l’ingenuità. Ebbene? purtroppo la sua è una battaglia persa. In questi tempi bui e polarizzati la sua scuola è tutto fuorché popolare.

In tempi vuoti come questi bisogna stare da una parte, per partito preso. O bianco o nero. Non c’è spazio per gli indecisi. Bisogna dedicarsi più di tutto alla “comfort zone”. No time no space per la riflessione critica né per i dubbi. Né, va da sé, per la ricerca della verità. Quella poi … sembra non interessare nessuno. Ogni esitazione, piuttosto, potrebbe inclinare il piano retto. Creare un buco nero spazio temporale, aprire varchi insondabili dai quali essere risucchiato. Ai confini dell’ignoto. Si rischia tanto. Ad esempio di essere additato, ad ogni fuori squadra, come fascista, comunista, illiberale, nazista. A seconda dell’appartenenza politico culturale d’origine. E così ci si trova in un clic senza amici virtuali e nessuno con cui parlare o confrontarsi. Tagliato fuori. Sono tempi, per capirci, in cui gli ebrei sono tutti sionisti e quelli che non lo ammettono mentono. In alcuni sottoboschi social, sempre più in auge, è in atto la sostituzione storica: i nazisti di un tempo rimpiazzati dai sionisti di oggi. Senza spazio di confronto, né posizioni intermedie: non ci sono e non ci possono essere ebrei che abbiano ragione e che non vivano nel torto e nel sopruso. A sinistra tutti da una parte stanno i difensori della Palestina con tutte le ragioni da vendere. Chi sta con gli ebrei o chi avanza parole sul diritto di sopravvivenza di Israele vive invece nel torto marcio. E per sillogismo aristotelico è di destra brutto e cattivo. Oltre che nazista. Discorso difforme ma simile sulla guerra fra Russia e Ucraina. In questo conflitto le categorie di torto e ragione di giusto e sbagliato, di sinistra e destra, sono sfalsate rispetto alle griglie politiche tradizionali. Ma quelle ormai contano solo relativamente. Anche in questo caso la costante è la verità: cioè, quella cosa che non importa a nessuno. Qui si assiste ad uno slittamento del pensiero estremo a destra così come a sinistra verso posizioni filo-putiniane: i famosi opposti che oltre ad attrarsi si toccano. Sono lì, vicini ai confini dell’emiciclo. Basta buttare lo sguardo all’estrema destra e l’estrema sinistra in Germania. Fratelli quasi da spartirsi il sonno. Mentre il centro polimorfico si dibatte a cercare le differenze fra democrazia occidentale e la democratura dei paesi dell’est. La libertà di espressione contro la coercizione. Lo stato di diritto contro la dittatura. In un movimento centrifugo che da un ipotetico centro (di gravità permanente) tende a propagarsi verso l’esterno. Nelle estremità dove il vortice è ormai impeto e tempesta. Follia e punto di non ritorno. Dove Putin diventa il liberatore dalle masse oppresse del capitalismo dilagante che ha fallito nella illusione di poter essere ordine mondiale. Dove i regimi illiberali del medio oriente, Iran in testa, conservano fra le sue leggi scritte la prima delle loro macabri priorità: la distruzione dello stato di Israele. E qui fra sillogismi, analisi, tesi e antitesi, il cerchio in certo qual modo si chiude.

Torniamo al giornalista dell’incipit. Lui sa che le cose non sono esattamente così come vengono collegate sui social o in TV, ma sa anche che deve scegliere. Rassegnarsi ad un mondo che non vuole complicazioni e filosofia? Accettare di essere nero da un lato? Sopportare di dover combattere il bianco dall’altro? Oppure consacrarsi al suo ruolo di eterno cacadubbi e così facendo consegnarsi mani e piedi alla gogna mediatica. Ben sapendo che i suoi amici di un tempo non ne avranno pietà. Lo copriranno di insulti, lo chiameranno traditore mentre la macchina del fango si incaponirà su ogni suo pensiero difforme dalla vulgata. E il tritacarne avrà completato l’ennesima vendetta nei confronti del fuoriuscito che, come Prometeo, ha avuto l’ardire di rubare il fuoco sacro agli dei. Per questo sarà condannato. E gli li mangeranno il fegato. Ogni santo giorno. Senza mai ucciderlo, perché se non vivo, serve mezzo morto.

Gianvito Pipitone

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