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“38 omicidi”, l’ex killer Patti a Saviano: “Quando ammazzai i reggenti di Marsala” E su Messina Denaro…

38 omicidi in vent’anni al servizio di cosa nostra“. Lo ha svelato il killer di mafia e collaboratore di giustizia Antonio Patti in un’intervista esclusiva a Roberto Saviano in onda ieri sera su Rai Tre. “Li ho commessi assieme ad altri, non solo io… me li ricordo tutti. Ero sempre a disposizione, giorno e notte”. Durante la trasmissione Insider, Saviano definisce Patti un uomo d’onore di mafia, con ramificazioni terroristiche e imprenditoriali. Un percorso brutale e cruciale attraverso le stagioni di mafia in Sicilia, delle Stragi palermitane, delle famiglie mafiose come quelle trapanesi. Una visione dentro il fenomeno mafioso, da Totò Riina a Matteo Messina Denaro. “Toto Riina ha bruciato cosa nostra, era intelligente, furbo… aveva tutte e due le cose. Ed è un macello”, dice Patti dell’ex capo mafia corleonese: “Aveva lo sguardo che ti faceva capire tutto”. “Io non mi sentivo cattivo, anche quando uccidevo, lo dovevo fare. Noi pulivamo il paese da chi disturbava le persone, le imprese”, dice ancora. Saviano chiosa: “Quindi per voi era una sorta di ordine!”.

Ma chi è Patti? Nel 1992, a Tonnarella, litorale mazarese, in una villa sul mare, Matteo Messina Denaro organizzò una mangiata con Totò Riina. Qui, quest’ultimo disse a Patti: “Dobbiamo levarci queste spine a Marsala”. Pochi giorni dopo morirono i reggenti lilybetani Vincenzo D’Amico e Francesco Craparotta. A compiere l’omicidio fu proprio Antonio Patti, al quale Messina Denaro aveva promesso che sarebbe diventato il nuovo reggente della famiglia mafiosa di Marsala. E alla famiglia di Marsala sarebbero andate tutte le estorsioni fatte nella vicina Petrosino e che finora erano competenza dei mazaresi. Nell’intervista registrata prima della morte del capomafia trapanese, Messina Denaro viene definito “freddo”, uno che “si è montato la testa quando è stato chiamato: “Se io fossi latitante con la mia testa non mi avrebbero preso mai, io sono molto più intelligente di lui. 50mila volte”. L’ex magistrato DDA di Palermo Massimo Russo specifica che Patti era un uomo che non aveva una tradizione mafiosa e che per primo inizia a raccontare chi fosse l’ormai defunto boss castelvetranese.

Patti ha ben chiaro un punto: “Messina Denaro ha resistito 30 anni di latitanza perchè è stato protetto dai campobellesi, non tutti, non si è mosso mai di là. Messina Denaro doveva essere arrestato, perchè era pericoloso. Lui ereditava il potere del padre. Non doveva fare le stragi che ha fatto. L’errore più grande? Il bambino, Di Matteo, non lo doveva ammazzare. Lui ha partecipato, ha messo la casa… come si fa a sentire che il bambino era diventato burro. I bambini non si toccano“.

Saviano fa riferimento anche alla droga, uno dei più grossi affari della mafia e Patti conferma non solo che “scaricavano” fumo, cocaina ed eroina, ma che il boss Mariano Agate aveva comprato una casa a Mazara a suo nome che divenne una raffineria di eroina e che ospitava ogni tanto latitanti come Leoluca Bagarella, cognato di Riina. Patti però dice di non sapere come avveniva la produzione della droga: “Non lo so proprio, a me dicevano solo di ammazzare le persone”. Sul 41 bis il collaboratore di giustizia afferma: “Se sei un mafioso in carcere ti rispettano tutti, all’Ucciardone mangiavo di tutto e di più, cose speciali. Arrivava filetto grosso così, sigarette di contrabbando, ecc.”.

Forti le affermazioni sulle carceri quando lo scrittore chiede se i penitenziari fossero controllati dalla mafia. Patti afferma: “Io a Marsala mi sedevo al posto del comandante perchè dovevo mettere a posto due detenuti che avevano bisticciato”. Patti decise di diventare collaboratore di giustizia nel 1995 e grazie alle sue dichiarazioni scatta l’operazione Omega che svela l’emendamento trapanese. Una cosa è certa: Patti si è pentito, “ho chiesto perdono a Dio e alle famiglie degli uomini che ho ucciso”, “Marsala non mi manca” e “Cosa nostra tra un 50 anni finirà, tutto finisce”.

redazione

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