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Messina Denaro in giro per la Sicilia: nel 2020 era a Carini per comprare un’auto. Tre anni prima fu fermato a Mazara da una pattuglia

Vicinissimi, vicinissimi a prenderlo, ben prima del 16 gennaio 2023, quando però dell’identità del super latitante si sa poco.

Siamo nel 2017, un carabiniere gli intima l’alt. Lui, diligentemente, accosta l’auto e mostra i documenti. Rapida occhiata alla foto della carta di identità e poi il permesso di rimettere in moto. Poche le descrizioni dei pentiti, vecchie le fotografie che lo ritraggono. Perciò il militare che avrebbe potuto fare il colpo della sua vita, non può capire che davanti ha Matteo Messina Denaro, ricercato già da 24 anni.

A raccontare l’inedito episodio, è stato il procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio de Lucia, il magistrato che, assieme all’aggiunto Paolo Guido, ha coordinato le indagini che un anno fa hanno portato alla cattura del padrino di Castelvetrano (Trapani).

La storia, che ne ricorda una analoga accaduta ad un altro boss rimasto latitante per decenni, Bernardo Provenzano, fermato a un posto di blocco e poi lasciato andare nel 1997, è venuta fuori nel corso di un incontro con gli studenti di Casal di Principe, nel Casertano, in cui il procuratore ha anche presentato il libro “La Cattura – I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia”, scritto con il giornalista Salvo Palazzolo.

I pm di Palermo, che stanno oggi cercando di ricostruire la lunghissima latitanza del capomafia, hanno accertato l’episodio raccontato dal capo della Procura grazie al ritrovamento, nell’ultimo covo di Messina Denaro, a Campobello di Mazara (Trapani), di alcune carte di identità conservate dal padrino.

Attraverso una serie di controlli, i carabinieri hanno accertato che, nel trapanese, nel 2017, era stato fermato un automobilista che aveva esibito un documento intestato a una delle false identità usate dal boss. Solo che all’epoca nessuno sapeva che faccia avesse. In uno dei diari trovati nel suo nascondiglio il padrino si faceva beffa infatti degli investigatori commentando quanto gli identikit confezionati nel tempo fossero diversi dalle sue reali sembianze. La storia conferma, inoltre, un altro sospetto degli investigatori: Messina Denaro ha trascorso nel trapanese gran parte della latitanza. Il ricercato numero uno del Paese, dunque, per anni non si sarebbe mosso dal suo territorio.

«Confidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni, ma c’era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori. Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso trent’anni in latitanza. Ora si deve dare la caccia ai complici», ha detto il procuratore di Palermo. Un impegno preso subito dopo la cattura del capomafia che ha già dato risultati. Molti i favoreggiatori già finiti in manette: «la malattia non aveva cambiato le sue abitudini», ha anche spiegato De Lucia -, la maestra Laura Bonafede, amante e fiancheggiatrice del latitante, la figlia Martina Gentile, la coppia di vivandieri che lo ospitava e il “postino” che gli portava le ricette mediche, sono solo alcuni dei fedelissimi su cui il boss poteva contare.

I documenti trovati nel covo sono la base di partenza delle indagini che stanno cercando di ricostruire i movimenti del capomafia, i suoi affari e le identità dei favoreggiatori ancora ignoti. Il materiale da analizzare è tantissimo e le indagini non sono facili. Andare a ritroso nel tempo, scoprire gli spostamenti fatti dall’ex latitante è complesso. Di certo c’è che, pur restando a due passi da casa sua, Castelvetrano, Messina Denaro si è spostato e per anni ha fatto una vita quasi normale. Dalle indagini del Ros e della procura di Palermo emergono altri dettagli sulla latitanza del padrino delle stragi. Scoperta una nuova utenza telefonica, si stringe il cerchio attorno ai favoreggiatori e ai complici.
Matteo Messina Denaro ha avuto sempre una grande passione per le auto di seconda mano. E negli ultimi dieci anni è andato direttamente lui nelle concessionarie per sceglierle e comprarle. Almeno tre volte, dicono le indagini dei carabinieri del Ros, coordinate dalla procura distrettuale antimafia diretta da Maurizio de Lucia

Gaspare De Blasi

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