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Restaurazione e indennità

In principio si faceva politica a titolo gratuito. L’idea era che svolgere un’attività al servizio della popolazione fosse un onore, da assolvere senza oneri per le casse pubbliche. Naturalmente, in questo quadro, la politica restava affare per ricchi: quando ancora il suffragio universale sembrava una chimera, votavano solo i rappresentanti del clero, della nobiltà e della borghesia più colta, mentre gli altri restavano a guardare. Di conseguenza, anche i rappresentanti eletti erano figli delle classi più agiate, che potevano permettersi di astenersi dalle proprie attività lavorative per partecipare alle sedute delle pubbliche assemblee locali o nazionali. Questa concezione elitaria della politica fu spazzata via quando la maggioranza della popolazione – composta da operai e braccianti agricoli – prese consapevolezza della propria forza, fino ad ottenere l’estensione del diritto di voto (che solo nel 1946 fu garantito anche alle donne). Naturalmente, si cominciò a parlare della necessità che l’attività politica fosse remunerata perchè operai e braccianti non potevano permettersi di lasciare il lavoro per rappresentare i cittadini senza alcun paracadute economico.

L’introduzione delle indennità di mandato fu, dunque, uno strumento che si ispirava a principi egualitari e di buon senso. Nel tempo, tuttavia, le indennità sono andate aumentando a dismisura, un po’ a tutti i livelli, ulteriormente integrate da privilegi, rimborsi e benefit inizialmente non previsti. Come evidenziato anche in passato, se la crescente spesa pubblica si fosse tradotta in una maggiore qualità del lavoro parlamentare, assembleare o amministrativo, sarebbe stato un sacrificio tutto sommato accettabile. La percezione generale, tuttavia, è che sia accaduto esattamente l’opposto finchè, nel 2007, i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo pubblicarono un libro di grande successo – “La casta” – che incise molto sul dibattito degli anni successivi. Nel decennio scorso, la spending review di Monti e il pressing del Movimento 5 Stelle portarono a una stagione di tagli ai costi della politica, che in Sicilia ebbero nel governo Crocetta un ulteriore interprete.

Con Musumeci e soprattutto con Schifani è cominciata una fase diversa, nel segno di un ritorno al passato, di una restaurazione che ha riportato alla ribalta gli alfieri del primato della politica – compresi Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo – e che si è tradotta anche in un aumento delle indennità. Con voto unanime, l’altro ieri sera anche i consiglieri comunali di Marsala si sono adeguati e potranno presto contare su bonifici più consistenti per il proprio lavoro per la comunità.

L’auspicio è che questa ulteriore gratificazione li responsabilizzi maggiormente, perchè troppo spesso l’assise civica di Sala delle Lapidi è sembrata più simile a un consiglio di quartiere che a un Consiglio comunale. Quasi tutte le sedute si somigliano tra loro: tanto spazio alle comunicazioni, tante lamentele – spesso fini a se stesse – e poca propensione verso atti di programmazione di cui la città avrebbe bisogno. Persino le mozioni, gli atti di indirizzo e gli ordini del giorno appaiono decisamente meno incisivi rispetto a qualche anno fa. Magari i nostri rappresentanti a Palazzo VII Aprile non se ne accorgono, ma i cittadini marsalesi si aspettano qualcosa di diverso da loro: più consapevolezza, più fantasia e – soprattutto – più coraggio. A maggior ragione adesso, che ci costeranno qualche migliaio di euro in più.

Vincenzo Figlioli

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