Tra il 1° gennaio 2022 al 30 settembre 2023 sono stati 18 gli Enti locali sciolti per mafia in tutto il territorio nazionale: praticamente, una media di uno scioglimento al mese. Il dato è emerso nel corso della presentazione del dossier “La linea della palma” presentato dall’associazione Avviso Pubblico.
Si conferma il trend degli ultimi trentadue anni: infatti, dal 1991 al 30 settembre 2023 sono stati 383 i decreti di scioglimento in ben 11 regioni italiane; 280 hanno riguardato consigli comunali, in cui sono risultati coinvolti sindaci, assessori, consiglieri e dipendenti della Pubblica amministrazione, mentre in 6 casi ad essere commissariate sono state Aziende Sanitarie Provinciali.
Ad aggravare il quadro c’è da considerare che 76 Amministrazioni hanno subito più di uno scioglimento nella loro storia recente: 56 enti sono stati sciolti due volte, 19 tre volte e un Comune addirittura 4 volte. “Sintomo – si legge nella nota inviata da Avviso Pubblico – di un’infezione dura da curare, che dimostra il grado di pervasività e aggressività delle organizzazioni criminali, che non si limita ai comuni, ma che colpisce anche il settore sanitario pubblico”.
La Sicilia è la terza regione per Enti locali sciolti per mafia con 92 amministrazioni coinvolte, 15 delle quali sono state commissariate almeno due volte. Mentre negli ultimi diciotto mesi sono stati 3 i comuni sottoposti ad amministrazione straordinaria: Castiglione di Sicilia e Palagonia (Catania), Mojo Alcantara (Messina).
Il dossier presenta anche un focus sui decreti di scioglimento nelle regioni del Centro-Nord, non a tradizionale presenza mafiosa. Il 3,4% degli scioglimenti hanno riguardato i Comuni del Centro-Nord Italia. Nonostante il numero apparentemente esiguo di Comuni commissariati in queste regioni, emerge chiaramente il crescente interesse per le mafie, in particolare per la ’ndrangheta, per quei territori, dove lo sviluppo economico-finanziario offre la possibilità di riciclare ingenti quantità di denaro, inserendosi anche nel mercato degli appalti pubblici. A testimoniarlo sono le numerose inchieste giudiziarie che in questi anni hanno rivelato un sistema ramificato di affari illegali. Tanto nei territori a tradizionale presenza mafiosa quanto in quelli di più recente espansione lo scopo delle cosche è quello di controllare ogni settore della vita economica e amministrativa degli Enti, con impressionante duttilità e capacità di adattamento. Un obiettivo che viene perseguito aggirando le procedure di trasparenza, riducendo al minimo la partecipazione pubblica, occupando ogni spazio disponibile. Emblematica, in questo senso, è l’attenzione delle mafie per il controllo di appalti e lavori pubblici: ciò avviene sia per le risorse economiche che essi generano, sia per l’opportunità di controllare interi segmenti delle filiere, dal lavoro alla fornitura di materiali, con quel che ne consegue in termini di radicamento sul territorio e di arricchimento. Altri settori di interesse della criminalità organizzata sono ambiente, edilizia privata, attività economiche del territorio, società partecipate, patrimonio degli enti, e poi ancora risorse umane, il settore dei rifiuti e quello elettorale, con un alto grado di condizionamento che porta al cosiddetto fenomeno dello scambio elettorale. Un dato significativo riguarda la contiguità territoriale: ad essere sciolti spesso sono comuni a pochi chilometri di distanza tra loro. Nel dossier sono inoltre disponibili dati aggiornati, analisi tratte dalle relazioni allegate ai decreti di scioglimento, sintesi dei documenti parlamentari, spunti di riflessione e proposte relative all’attuale normativa. L’obiettivo de La linea della palma è stimolare una riflessione su un fenomeno – l’inquinamento mafioso degli Enti locali – che provoca lo scioglimento di un Comune al mese, la sospensione della democrazia e danni enormi al tessuto socio-economico dei territori interessati. Il report dimostra, infine, come l’attacco delle mafie si concentri di più sui piccoli comuni. In base ai dati demografici forniti dall’ISTAT, raccolti al momento dell’emanazione del decreto, risulta che il 72% dei Comuni sciolti per mafia dal 1991 aveva una popolazione residente inferiore ai 20mila abitanti, il 52% inferiore ai 10mila abitanti. Solo l’8.5% aveva una popolazione residente superiore ai 50mila abitanti al momento dello scioglimento. Il trend si conferma anche al Centro-Nord, dove l’83% della presenza mafiosa è nei comuni con meno di 50mila abitanti. Le ragioni sono diverse: i comuni più piccoli garantiscono ai clan vantaggi in termini di controllo del territorio e della società civile; c’è meno presenza di forze di polizia, che se da un lato è giustificata dalla popolazione ridotta, dall’altra sembra sproporzionata se si pensa al grado di presenza mafiosa. Inoltre i territori più piccoli sono meno esposti mediaticamente e questo giova agli affari dei clan. E infine è più facile far pesare la forza economica criminale sull’imprenditoria locale e sulle piccole amministrazioni.