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Morte Messina Denaro, parlano Nicola Di Matteo e Salvatore Borsellino: “E’ morto un criminale”

La morte del boss castelvetranese Matteo Messina Denaro a 8 mesi, quasi 9, dalla cattura, per un tumore al colon giudicato da subito non guaribile, inevitabilmente ha portato diverse reazioni dal mondo dell’Antimafia e dei familiari delle vittime di cosa nostra, più che del mondo politico istituzionale.

“Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato”. A dirlo all’Adnkronos è Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il bambino strangolato e poi sciolto nell’acido, su ordine, tra gli altri, di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato, e Matteo Messina Denaro anche se questi ha negato dal carcere esplicitamente la complicità nell’omicidio del piccolo.

“Da credente non avrei potuto augurargli la morte. Non si può augurarla a nessuno se si ha un po’ di umanità, ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto”, ha affermato Nicola Di Matteo, continuando: “Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me”.

Sulla morte dell’ex superlatitante è intervenuto anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992: “Se fossi credente, visto che non c’è stata una giustizia in terra potrei confidare in una divina, purtroppo essendo laico non posso sperare neppure in quella. L’arresto di Matteo Messina Denaro non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi, con la sua morte si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D’altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire. Era assolutamente improbabile”.

“Con la sua fine non credo si chiuda niente – aggiunge -. La mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non parlo di quella degli anni ’90, della Cosa nostra stragista, ma di una mafia molto più pericolosa, che si è insinuata nell’economia, nelle amministrazioni, che è si resa invisibile e che, per questo motivo, è difficile da scoprire ed estremamente più pericolosa”. C’è amarezza nelle parole del fondatore del movimento delle Agende rosse. “Non ho motivo per rallegrarmi. Penso solo che oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello né la verità sulla strage in cui ha perso la vita”.

redazione

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