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Lotta alla mafia, Inguì: “Oggi è più difficile indicare esempi nelle istituzioni”

Non è stato un 23 maggio come tutti gli altri. Almeno, non lo è stato in provincia di Trapani. Ricordare la Strage di Capaci nell’anno in cui è stato arrestato l’ultimo grande latitante legato a quella stagione – Matteo Messina Denaro – produce inevitabilmente nuove riflessioni alla domanda che accompagna queste giornate: a che punto siamo con la lotta alla mafia? Per anni coordinatore provinciale di Libera, in queste settimane Salvatore Inguì ha incontrato tanti studenti a Campobello e Castelvetrano, affrontando di petto il tema della latitanza del boss, arrestato lo scorso 16 gennaio. “Ho cercato di metterli a loro agio, in modo che non si limitassero a dire le frasi che erano state preparate per la giornata, ma che parlassero liberamente, come se parlassero a casa propria. Il risultato? Mi sono sentito dire che Messina Denaro è un buono, che siamo stati noi a dipingerlo come un feroce criminale per i nostri interessi o, anche, che la mafia ha fatto del bene più dello Stato. Mi ha fatto impressione che queste frasi siano state dette senza pudore: non in maniera asettica, ma con foga e partecipazione”.

Da militante antimafia, Salvatore Inguì è abituato ad opporre a questo tipo di contestazione una narrazione alternativa, che affermi l’importanza di una scelta legalitaria rispetto alle lusinghe che spesso arrivano dai boss, soprattutto verso tanti giovani dei quartieri periferici. “Quest’anno, tuttavia, ci sono una serie di eventi che si sono verificati e che mi hanno molto colpito, a partire da quello che è successo a Palermo, con le forze dell’ordine che hanno impedito al corteo degli studenti, dei sindacati, dell’Anpi, di avvicinarsi ai luoghi in cui si stavano tenendo le celebrazioni del 23 maggio, soltanto perchè temevano voci dissonanti. Non si trattava certo di pericolosi facinorosi, al massimo avrebbero gridato “fuori la mafia dallo Stato”. Bloccare questo corteo è stato uno schiaffo al movimento antimafia, che invece professa l’avvicinamento dei cittadini allo Stato democratico”. Una vicenda grave, che ha indignato tanti militanti dell’antimafia in Sicilia.

Tuttavia, l’imbarazzo a cui fa riferimento Salvatore Inguì non è prodotto soltanto da quest’episodio, ma da una concatenazione di eventi che si sono verificati recentemente, dalla riabilitazione di Totò Cuffaro (già condannato a 6 anni di carcere per favoreggiamento) alla sortita del sottosegretario Claudio Durigon, che ha chiesto al Comune di Latina di cancellare l’intitolazione di un parco a Falcone e Borsellino per intitolarlo a Benito Mussolini, “tenendo conto delle radici della città”. E poi c’è la questione dell’affossamento del processo sulla Trattativa Stato-mafia “in cui – sottolinea Salvatore Inguì – “è stata negata l’evidenza dei fatti”, nonché della nomina – avvenuta proprio lo scorso 23 maggio – di Chiara Colosimo alla guida della Commissione Antimafia. Una scelta che tanti osservatori hanno considerato come il tentativo della maggioranza di governo di cambiare narrazione nella ricostruzioni della stagione delle stragi. “La nuova presidente non ha commesso nessun reato, ma se fino a ieri si faceva fotografare seduta accanto a un terrorista nero (l’ex Nar Luigi Ciavardini, ndr) mi chiedo: davvero non si poteva trovare niente di meglio? Per quale ragione scegliere persone chiacchierate per fatti così gravi?”.

L’insieme di tutti questi aspetti porta Inguì a una considerazione finale, quantomai amara e dolorosa, a fronte degli anni di attività antimafia e di impegno sociale, portati avanti sul campo nel territorio trapanese: “Confesso che oggi ho difficoltà a individuare nello Stato democratico esempi da portare all’attenzione dei giovani. Ci ritroviamo Matteo Messina Denaro in manette, ma risulta difficile gioire pienamente. Abbiamo a che fare con uno Stato e dei politici che non consentono di avere piena fiducia nelle istituzioni”.

Vincenzo Figlioli

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Tags: Matteo Messina DenaroSalvatore Inguì