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Trapani, il Vescovo Fragnelli dedica un pensiero alla guerra: “Una menzogna diabolica”

La tradizionale partecipazione popolare ha accompagnato il rito della processione dei Misteri di Trapani, che si è conclusa ieri mattina dopo aver attraversato le strade del centro per la giornata del Venerdì Santo e le ore notturne.

Di seguito riportiamo il testo dell’intervento conclusivo del vescovo Pietro Maria Fragnelli al rientro della processione.

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Carissimi trapanesi e carissimi turisti,

presenti in questa piazza e a noi collegati con i media!

Anzitutto una preghiera insieme davanti a Colei con cui chiudiamo la processione 2023. Diciamo insieme l’Ave Maria. Poi aggiungo che quello che vi dirò l’ho fatto oggetto di preghiera nella cappella del mio episcopio, poi l’ho maturato davanti al computer e ripensato nella strada con l’umanità dei vari gruppi sacri davanti alla Cattedrale.

La processione è giunta al termine. È un bisogno dell’anima dire due parole di ringraziamento. Anzitutto al Signore, che ha dato la forza per giungere al traguardo e l’intelligenza per comprendere sempre meglio quello che abbiamo fatto e vogliamo fare in futuro. A Lui piacendo. Poi un grazie di cuore a quanti hanno reso possibile questo grande avvenimento: al mio Vicario generale don Alberto Genovese e i suoi collaboratori, alle Maestranze, alle Autorità, alle Forze della sicurezza, ai ceti, alle bande.

Siamo partiti alle ore quattordici di ieri, con i tamburi che richiamavano l’attenzione e il Crocifisso che apriva il percorso. Noi eravamo già per strada, quando alle tre del pomeriggio, Gesù moriva in croce, come ci dicono i Vangeli. Eravamo memori della sua via crucis e del suo grido ultimo: “Tutto è compiuto”. Un percorso lungo ci ha spinti nel cuore della nostra città, con tanti anziani e giovani impegnati a portare o accompagnare i venti gruppi sacri. Per 24 ore, tra giorno e notte! All’inizio di Via Fardella tanta gente era ancora con noi. Molti sono entrati nella chiesa dell’Ausiliatrice dove c’erano sacerdoti disponibili per l’ascolto e per il sacramento della riconciliazione. Un momento di grande gioia spirituale!

Intanto continuava il percorso. Che peso le nostre vare! Già nella Domenica delle palme, aprendo la settimana santa, parlavo di questo peso schiacciante. La liturgia presenta Gesù come colui che ha preso su di sé il peso dei nostri peccati. Guardando voi, cari portatori e rivolgendomi a tutti, organizzatori e fruitori della processione, mi ridico: Gesù è sotto la vara. Lui per primo ha vissuto quello che san Paolo dirà ai cristiani della Galazia, nella Turchia di oggi: portare i pesi gli degli altri. Questo è il cammino della piena maturità umana e cristiana, è l’inizio della vita del cielo su questa terra. La nostra vocazione sfocia nel cielo: nella risurrezione di Gesù, nostro Capo, è assicurata la possibilità di risorgere per tutti i suoi discepoli. Ogni croce è momentanea, è leggera rispetto alla gloria. Con san Paolo ripeto a me e a voi: la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne (2 Corinzi 4, 17-18).

Miei cari, questo è l’orizzonte di tutta la settimana santa: la vita eterna. Noi seguiamo con emozione il peso delle vare sotto cui si sottomettono tanti giovani e meno giovani; pensiamo che sotto ogni vara in realtà c’è sempre Lui, solo Lui, Gesù Cristo. È Lui che porta il peso della nostra umanità peccatrice. A questo ci fa pensare la nostra processione trapanese: ogni vara è un invito a guardare oltre i volti sudati dei nostri uomini, oltre le facce compunte delle donne, grandi e piccole, che sfilano pregando e cantando. È sempre Lui, Gesù, il vero protagonista della processione. Gli altri siamo tutti strumenti, presi dalla volontà di bene e anche dai nostri vari, piccoli o grandi peccati.

Anzitutto il peccato della grande menzogna, anzi delle grandi menzogne dei fratelli armati contro i fratelli. Un giornalista inviato di guerra ha scritto già un anno fa: “Non è vero che in guerra perdono tutti. C’è sempre chi vince: i produttori di armi, le mafie dell’Est che tra Mosca e Kiev hanno stretto patti di sangue e rubli già annunciano la spartizione del bottino di guerra e le laute mance per la ricostruzione; i trafficanti di uomini, che però preferiscono le donne…” (N. Scavo, Kiev, 2022, p.152). La menzogna della guerra è diabolica. Sempre. Anche nel 2023. E l’umanità tutta ne paga il prezzo!

La processione mette in luce un altro tipo di peccato: quello di non saper amare davvero noi stessi. Finché non incontri davvero Colui che è sotto la vara della tua vita, non ti rendi conto che “amare sé stessi è molto più difficile di quanto si crede. È il principio della vera carità. Sono così pochi quelli che sanno amare sé stessi in Cristo! Grande fatica comporta il realizzarsi e diventare tutt’uno con il Signore, e vivere con sé stessi, abbracciati alla propria miseria, conoscendosi e amandosi davvero”. Così scrive il poeta filosofo spagnolo Miguel de Unamuno nel suo Diario intimo. (In Rogelio Garcia Mateo, CivCat 4145, p. 646). Così ci diciamo, anche ricordando l’apertura di alcuni ceti alla Spagna di ieri e di oggi.

Infine la processione ci insegna a liberarci di un altro peccato: quello di non saper trattare con i poveri. L’Addolorata ci fa da guida e maestra: “Non vi è amico più sicuro per un povero di qualcuno più povero di lui” (P. Claudel). Maria è amata da tutti i poveri, non tanto dai ricchi che l’adornano di cose preziose, pur utili. Maria è amata davvero dai poveri. Ogni persona oppressa guarda a Maria. Quando non si hanno più soldi per l’affitto o la spesa e si desidera essere morti. Quando tutto manca e si è troppo infelici, il povero varca la porta della chiesa, tace e guarda la madre di Dio. Quale che sia l’ingiustizia subita, quale che sia la miseria, quando i figli soffrono è ancora peggio essere la loro madre. E allora si guarda Maria, colei che è qui, senza lamenti e nella speranza. Un povero che trova uno più povero ancora: entrambi si guardano in silenzio. Maria ascolta anche il non detto della nostra umanità.

Da Maria, infine, impariamo il senso profondo della “separazione” dal Figlio: il significato teologico, oltre quello psicologico. La sua fede non muore, ma cresce. “Maria custodì il Salvatore per tutta la sua vita e ancora in morte. Ella doveva sperimentare sempre di nuovo come Gesù, vivente del mistero di Dio, si distanziasse, crescendo, da lei. Sempre più egli s’innalza al di sopra di lei, così che ella sentiva il taglio della spada (Lc 2,35), ma a sua volta la madre si elevava sempre più nella fede al seguito del figlio, e lo possedeva di nuovo.

Finché egli, da ultimo, volle non esser neppure più suo figlio. Giovanni, colui che stava accanto a lei sotto la croce, doveva esserlo ormai. Gesù stava solo, in alto, sulla vetta più scarna della creazione, al cospetto della giustizia divina. Ella però, accettando la separazione in supremo gesto di pietà, si trovò, appunto per questo, nella fede, di nuovo accanto a lui. Sì, veramente Beata te, che hai creduto! (cfr. Romano Guardini, Il Signore,). Da lei impariamo a crescere nella fede dentro tutte le separazioni che la vita ci porta, fino alla separazione della morte. Un augurio finale: “Cristo non cammina, eppure quei piedi inchiodati da noi perché più non camminino sono i soli che nessuno riuscirà mai a fermare” (Primo Mazzolari La Samaritana, 1943 / 2022 – EDB, p. 128). Beato chi impara a seguirlo e a donare la vita con e come Lui. Buona Pasqua!

redazione

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