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Il monologo

Il Festival di Sanremo è finito. C’è chi dirà “meno male” e chi è ancora inebriato delle canzoni (commerciali) passate sul palco dell’Ariston. “La musica è (anche e soprattutto) altrove”, mi verrebbe da dire. Ma tant’è, siamo sempre poco curiosi di scoprire il nuovo, che spesso non ci rassicura.

Guardando il Festival più famoso della canzone italiana, il più conosciuto al mondo, al di là delle considerazioni di puro spettacolo, l’aspetto che più mi ha suscitato dubbi e perplessità, è legato alla figura delle donne. Le donne del Festival. Negli ultimi anni, grazie anche a un nutrito gruppo di giornalisti e critici musicali, si è aperto il dibattito sulla “musica al femminile” o sulla “musica d’autrice”. Ce n’è tanta, tantissima e molto buona, ma arriva troppo poco al grande pubblico.

Questo ha portato Sanremo a riconsiderare la scarsa presenza delle artiste sul palco ligure… anche se poi non arrivano neppure alla cinquina finale. Ma questo è un altro discorso. In questa sede però, mi preme focalizzare l’attenzione sull’altra presenza femminile del Festival: le co-conduttrici.

Sanremo nell’ultimo ventennio, ha visto pochissime presentatrici, ricordo Antonella Clerici, Simona Ventura o l’indimenticata Raffaella Carrà. Sempre più invece relegate al ruolo di “scendo dalla scala, cambio l’abito, presento un cantante e preparo un monologo”. Il monologo. Le donne da un pò di tempo vanno a Sanremo per fare ‘il monologo della vita’. E non importa se sono attrici, sportive, cantanti, influencer: DEVONO fare il monologo.

Il monologo sull’essere donne, sull’essere madri, sull’essere campionesse olimpiche, giornaliste affermate in un mondo di uomini padri-padroni. Le donne devono fare il monologo per dimostrare chi sono, per dimostrare quanto contano, quanta fatica fanno. E poi ringraziano pure. Ringraziano i mariti, i figli, i genitori, i colleghi. Perchè la donna, nel 2023, deve palesare quotidianamente quanto vale? Perchè deve urlare i propri diritti sacrosanti e previsti dalla Costituzione Italiana? Perchè deve ribadire la propria libertà (lavorativa, economica, sessuale)? Perchè, principalmente, ci deve essere un uomo a ricordare alle donne di salire su un palcoscenico per fare vedere quanto sono brave su un paio di tacchi, con un bel vestito, a parlare e a dire cose belle e giuste?

In conclusione: da un lato bene avere spazio anziché no, ma questo costante dimostrare qualcosa è stancante, stucchevole. Ci fa capire quanto ancora siamo il ‘sesso debole’ in una società intrisa di patriarcato. Una radice sempre difficile da estirpare, una ‘tradizione’, l’unica, da superare.

Claudia Marchetti

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