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“Non lo amo più”… Il demone dell’Irrazionalità politica e le Elezioni che verranno

In Amore mio aiutami, Monica Vitti dichiara al marito, Alberto Sordi, di amare un altro uomo. Tal marito – dal suggestivo nome di Giovanni Machiavelli – dopo estenuanti tentativi di assorbire “modernissimamente” e di sublimare civilmente la deragliata sentimentale, sulla spiaggia di Sabaudia cede. Disperato e sentimentalmente disarmato, non trova altra risorsa che la più “anti-moderna” e in-civile violenza. In una zuffa goffa e sovraccarica – sapientemente capace di stimolare il pensiero con il riso – la sequenza “E dillo ancora che lo ami”/sganassoni/”Non lo amo più” comprende l’intero.

La recente notizia riguardante il Bilancio dell’Ungheria mi sembra ancor più interessante se sovrapposta, in controluce, a questa scena.

L’Unione europea non può sopportare la “sistematica violazione dei principi dello Stato di diritto” operata da Orban. Dal 2018 ha attivato la procedura prevista dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea. La settimana scorsa a seguito del declassamento – nelle parole della Delbos-Corfield – a “autocrazia elettorale” l’Europarlamento ha votato il congelamento dei finanziamenti e la sospensione del Piano di Rilancio.

Levata di scudi nel nome di una strana “libertà” conservatrice che non riconosce come diritti tutti quelli che cadono fuori dal cono di ombra del “cattolicesimo nazionalista”. Pure la nostra Meloni se ne esce con un “In Ungheria ha vinto democraticamente”.

Poi, la svolta “à la Vitti”. La Commissione, nella mattinata del 18 settembre, dichiara che andrà a bloccare 7,5 miliardi. Nella stessa giornata il Ministro degli Esteri ungherese Gulyas si presenta a “braghe calate”; parafrasando: l’Ungheria farà tutto quello che volete!

Sganassone finanziario, ravvedimento immediato. Pare.

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Colpisce che il dibattito successivo abbia quasi glissato sulla “calata di braghe”. Come a dire: vale più la narrazione, la polemica, la dichiarazione sul palcoscenico della campagna elettorale, che la realtà. Non a caso, sempre il 18 settembre, la nostra Meloni – con sfoggio di mestiere – nel programma Mezz’ora in più coglie dagli eventi ciò che più rinforza la sua di narratio: “non si divida l’Europa, siamo in guerra. Dopodiché, affar mio è solo l’Italia…”

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Sembra che il populismo occidentale abbia fatto carta straccia del dimenticato Baruc Spinoza. Il regime di causalità non è più il perno su cui organizzare l’accesso razionale al mondo.

Se a una data realtà si concedesse il privilegio di esser seguita da parole congruenti, il castello di una narrazione pseudo-idealizzata come quella di cui sopra dovrebbe crollare. Eppure non succede: anzi in politica sembra radicato con gran vitalità il principio postmoderno che le parole precedono le cose. Se esiste una narrazione del mondo, allora quel mondo c’è, anche se è decisamente irreperibile nell’esperienza.

Il 21 settembre Putin ha detto che la responsabilità della guerra è dell’Occidente, il quale armando l’Ucraina l’ha spinta al conflitto.

Mi pare chiaro: narrazione e realtà possono vivere su due piani diversi.

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Ora, se il “principio razionale di realtà” sembra significativamente declassato, non può che guadagnare aria una certa attitudine “emozionale” di sintonizzazione con le cose.

Cuore/amore/famiglia/patria/onore/sacrificio…tutte vibrazioni ad alta risonanza ventrale. Ottime per totalizzare il discorso politico e socio-culturale e per affettare a colpi – “sacrosanti”, li vorrebbero – di mannaia la complessità.

La complessità è difficile. E per un Paese come l’Italia che perde per strada quasi un quarto dei suoi studenti, potrebbe essere sempre più difficile.

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Ancora cronaca, in un minuto. In una estate caldissima e siccitosa, Movimento 5 Stelle e Lega, con speranze di trasformare il loro “racconto emozionale” in incasso individuale, falciano il Governo Draghi. Era il 20 Luglio. Il 20 Settembre Draghi è premiato da Kissinger in persona – sorridente novantanovenne – il premio del World Statesman Award.

Qui i due partiti di cui sopra non ragionano nemmeno su una mossa “à la Vitti”. Certo, la frittata è fatta: non si può tornare indietro. Ma l’assenza di parole oneste sul fatto non compromette in nessun modo la realtà: il Governo Draghi era – al netto della sua narrazione, e al netto delle luci e delle ombre – probabilmente la nostra miglior carta per la sintonizzazione dell’Italia nel contesto internazionale.

Il racconto dei partiti, certo, non avrà problemi a reperire giuste e onorevoli ragioni metafisiche.

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Storicizzando, non è difficile percepire risonanze tra questa messa alla berlina del “pensiero razionale” e l’età dei fascismi.

Basta ritornare a qualche buon manuale di storia per incontrare padri mitologici della patria, riti pseudo-misterici, parate colossali, racconti di “magnifiche sorti progressive”, fotografie in pose melodrammatiche, e perfino la torta di compleanno del Führer condivisa con i bambini. Più “parlare alla pancia” di così.

Ora, forse non è vero che la Destra populista possa rappresentare una minaccia dittatoriale, e nemmeno che le sventolate presidenzialiste possano distorcere fino a rovinarla la Carta costituzionale. È invece probabile che l’ascesa di queste forze nelle gare elettorali sia il segnale di un – questo davvero minaccioso – deterioramento della Democrazia.

Questo non perché la proposta politica delle Destre miri realmente alla “democratura”, ma perché il racconto demagogico del mondo, in quanto fortissimamente irrazionale, è ontologicamente opposto alla Democrazia.

Se c’è un pesante errore nel dibattito politico italiano di questi giorni, è non aver sottolineato come debbano esser tenuti radicalmente separati contenuti politici e irrazionalità populista e invertiti nell’ordine.

Le inaccettabili dichiarazioni di Berlusconi sulla “gente per bene” che inviata da Putin doveva sostituirsi al governo di Kiev divengono possibili perché il tessuto di un racconto pseudo-verosimile che scambia aggressore e aggredito – vedi poche righe sopra Putin – li regge. I deliri dei leghisti sul “blocco navale” contro i migranti esistono solo perché permane una narrazione che finge spudoratamente di non vedere che qualsiasi migrante se è gestito a dovere – come non è mai riuscita a fare l’Italia – è una risorsa economica e demografica.

Il Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit del 2021 ci mette – in buona compagnia – tra le “democrazie difettose”. La ragione principale è pertinente al mal funzionamento dei Governi: nella fattispecie alla crescita esponenziale durante la pandemia dei partiti che hanno fatto leva sul “panico da libertà individuale minacciata”, che hanno alimentato il fuoco dei No-Vax avvallando la convinzione distorta che il “bene” di una comunità finisca dove inizia il “sollievo” immediato e circoscritto del singolo, e che inseguendo il più spudorato individualismo hanno infine messo fuori gioco un Governo in piena operatività.

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Vie d’uscita? Lo stesso Index rivela come la prima e profonda sorgente di problemi delle democrazie occidentali sia la sempre più pronunciata distanza fra la democrazia “procedurale” – quella che il Forum del 2018 sul Futuro della Democrazia aveva battezzato Democrazia minima – e “sostanziale”.

Come può, in effetti, una Democrazia ambire alla “sostanzialità” se la sua dimensione “procedurale” è da inveterata memoria zoppa? Dobbiamo fare l’elenco delle denunce che sottolineano come è troppo difficile fare impresa in Italia, come è troppo difficile rendere adeguatamente operativi i tribunali, come è troppo difficile recuperare i soldi dell’evasione fiscale…oppure come è troppo difficile eseguire una legge dello stato se tocca gli interessi di alcuni gruppi di potere (il nesso Bonus edilizio/Banche mi pare fatale)?

Forse allora ritornare a “amministrare” lo Stato, razionalizzarlo e aggiornarlo, ricostituire la fiducia nella “logica” del potere democratico che fa del cittadino cellula attiva e non succube della burocrazia, educare al merito e alla competenza, può essere un inizio.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

Sebastiano Bertini

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