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Pregate per la pioggia! Sacra spina, ingerenze politiche, disgustosa e impunita pedofilia

Agnus dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia, è appena stato pubblicato da Solferino. Le autrici, si noti benissimo, Scaraffia/Foa/Giansoldati sono redattrici e collaboratrici dell’Osservatore romano, in particolare del mensile Donne Chiesa Mondo. Sono perciò voci interne al mondo cattolico. Il perno di tutto il libro, di tutta l’inchiesta, risiede nell’unica parola: “impunità”.

Evitiamo le generalizzazioni. Anzi, perimetriamo. Stiamo dentro la circonferenza, stretta, di una città come Verona.

La città, mediamente periferica rispetto ai sommovimenti del Paese, è salita agli onori della cronaca per la storica sconfitta della destra politica – imbastionata già da molti anni – a opera dell’Homo novus (nel senso pienamente romano di colui che è il primo della sua famiglia a scendere nell’agone politico)Tommasi Damiano. Cuore e volto di un campo tanto largo e progressista da suscitare una sorta di timor panico nel Vescovo cittadino, uscente, Monsignor Zenti. Il presule ha deciso infatti di lasciare come testamento alla sua città, proprio prima del ballottaggio, un monito allarmato: “Non votate chi sostiene idee gender!”. Sasso che ha fatto increspare le acque a destra – la fazione dell’uscente Sboarina si è subito applicata nel prefigurare una specie “apocalisse gay” in città – ma che poco ha smosso sulla sponda vincente.

In realtà una voce di risposta si è alzata, dalle logge dello storico Liceo Maffei: l’insegnante di religione, parroco di zona, replica in una lettera pubblica, mostrando le diverse incongruenze nel comportamento del prelato. D’emblée, sollevato dall’incarico: tal Campedelli, non risulta più ”in comunione” con il Vescovo. Semplice, chiaro e antidemocratico.

La città non è nuova alla pochezza di dialogo fra autorità religiose e mondo profano. Ne è prova un libro assolutamente caustico, il Sillabario dell’amor crudele, di Francesco Permunian, edito da Chiarelettere nel 2019. Feroce messa in scena della pedofilia cattolica, è imperniato sugli eventi di cronaca che riguardano proprio un noto istituto religioso cittadino e sull’omertà che continua a opprimere il dibattito. Nel 2009, 67 disabili hanno sporto denuncia per abusi sessuali avvenuti presso l’Istituto Provolo di Verona. Abusi ammessi e riconosciuti dallo stesso Vaticano nel 2012, senza però che si producano esiti sostanziali. La Prescrizione è evidentemente anche l’occasione per scansare il dibattito aperto.

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Ora, si tenti un esperimento mentale, quello che permette di estendere “la parte” “al tutto” e che ha una sua validità almeno in termini di elaborazione di prospettive di lettura. Ricalchiamo i caratteri della Chiesa veronese su quella italiana: la seconda, è chiaro, può risultare decisamente sovraesposta, politicizzata e impegnata in una autopoiesi del potere che le concede di pensarsi autodeterminata.

È ciò che si chiama “Clericalismo”. Lo strenuo sforzo di riversare il mondo e il pensiero cattolico sulla vita pubblica e sul governo dello Stato. Si esprime in forme “logopatiche” come quelle del sopracitato Zenti, e si articola nell’enfatizzazione della forza della struttura, dell’architettura, degli apparati.

Il fatto che Papa Francesco parli di clericalismo come di “perversione” dovrebbe farci pensare che la Chiesa di Bergoglio non corrisponda all’isola veronese; che sia migliore. Eppure un libro come quello delle Scaraffia/Foa/Giansoldati ci indica il contrario. Lo Stato Vaticano opera come munito di impenetrabile armatura. In Italia, “l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile” non entra in azione quando si tratta di religiosi. Per i vescovi italiani non c’è l’obbligo legale di denunciare gli abusi di cui sono a conoscenza. Perciò insabbiamenti, silenzi pagati, trasferimenti e pochissime condanne.

Certo, si dirà, pessima Chiesa in pessimo Stato. Vero. Il racconto del potere della Chiesa è forse poco verificato nelle sue fondamenta – a tratti più economico che politico – ma è certamente preso per buono sugli scranni del Parlamento.

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In un certo modo, quasi tutto si potrebbe riassumere ritornando a guardare al recinto scaligero, alla notizia che campeggia al centro, ancora, della prima pagine del quotidiano veronese il 4 di luglio: non piove, e allora si esponga la “sacra spina”! Reliquia dal sanguinolento passato, consiste nella lisca di un grosso pesce con cui San Fermo e San Rustico sarebbero stati decapitati, nel III secolo, sulle rive dell’Adige.

Qualcuno, sulla stampa, si preso lo spazio di un sorriso giocando con in termini “rogazioni” e “irrigazioni”. Che serve anche a suggerire la percezione – più che diffusa – che le gerarchie ecclesiastiche spesso operino “fuori posto”, non semplicemente “fuori asse”, in spazio avulso.

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La riemersione di una reliquia come questa impone, in effetti, una riflessione sulle “logiche di profondità”, sulla rete di “saperi” che (quasi-) inconsciamente viene attivata dall’ostensione. Mi spiego attingendo da Foucault: in maniera che può apparire semplice, ma che è tutt’altro che banale, l’elaborazione concettuale si basa sull’evidenza che la “sacra spina” riguardi la pioggia perché essa viene da un pesce, e quindi dall’acqua. C’è quindi un rapporto di attinenza. L’effetto che si intende ottenere tramite la preghiera e l’oggetto sacro ricadono entro lo stesso campo semantico – quello dell’acqua – per cui viene data per buona (in un certo modo dedotta) la loro connessione. Una connessione, si noti subito, “mistica”: non esiste alcun rapporto causa/effetto che permetta una relazione attiva tra liturgia/resti di animale acquatico/pioggia/siccità. Si tratta di questione di “fede”.

Questo regime epistemico è quello che Foucault, in Le parole e le cose, ha indicato come di “somiglianza”, base d’appoggio fondamentale e connotativa del pensiero che si è esaurito con il Medioevo. Sulla base di questa logica di profondità il medioevo ha potuto edificare le proprie metafore e le proprie idee/mondo. Ha potuto, per esempio, portare a maturazione teorie come quella, famosissima e resistentissima, dei “fluidi corporali”. Teoria, tra l’altro, alla quale dobbiamo le concezioni di melanconia, collera, flemma…e pure alla quale dobbiamo l’idea del “cuore” come sede materiale e spirituale della vita. Le nonne veronesi – appunto – fino a cinquant’anni fa parlavano correntemente di “complessiòn”, senza sapere che con questo termine, almeno dalle traduzioni di Avicenna, la teoria umorale indicava lo stato di rapporti fra i fluidi corporei.

Tutto è retto da nessi di “somiglianza”: dalla grecità, il reale è interamente ricondotto ai quattro elementi – Aria, Acqua, Fuoco, Terra – ai quali per via di “somiglianza” già Empedocle associò attributi come freddo, caldo, umido, secco. Ippocrate trasferì tale tetrarchia nel corpo umano, associando secondo la stessa logica a quattro supposti fluidi corporei le proprietà dei quattro elementi. Il Medioevo ha poi accolto l’associazione dei fluidi e dei loro attributi ai “quattro temperamenti” e ha plasticamente esteso il regime della somiglianza attraverso l’astrologia. Così il fegato di un qualsiasi medievale finiva per centrare direttamente con Saturno e le sue passeggiate cosmiche.

L’età moderna ha poi, nel lungo percorso della scienza, fatto progressivamente strami di questo pensiero. La “somiglianza” è stata sostituita dalla “rappresentazione”, dal diagramma congruente della realtà garantito dal calcolo, dalla misura e dalle leggi di natura.

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Così, oggi, nel 2022, la patologia del “Clericalismo” sembra più che altro una forma grave di “anacronismo”. Quasi l’effetto di un pronunciato rifiuto del rinnovo delle categorie interpretative.

Chi è estraneo alla Chiesa, come chi si pone ad una media distanza a-problematica e vagamente indifferente, vede “paura” in questo atteggiamento. Il timore che una crepa possa allargarsi fino a far crollare l’intero edificio.

In tal senso la Chiesa si manifesta esclusivamente come istituzione. Monarchia avvinta dallo spazio democratico – per quanto sgangherato – dello Stato italiano, tutta occupata a operare come attore economico e speculativo, intenta a preservarsi dalla radicale dispersione dei suoi sudditi.

In effetti, un potere non si esercita se non su qualcuno. Se manca il succube/suddito, cade la ragione intima del potere.

Scaraffia sostiene che gli italiani siano abituati, da lunga tradizione, a “servirsi” della Chiesa, anche nella forma locale della Parrocchia, come luogo di dispensa di “aiuti, raccomandazioni, posti di lavoro”. Una sorta di elargitore di benefit con cui è generalmente “bene” avere buoni rapporti e, quindi, non interferire con la macchina interna. Ciò genera, secondo l’autrice, una forma diffusa di tepidezza – che assomiglia decisamente all’omertà – .

In effetti, più che le ragioni dell’ateismo, o l’insofferenza per le idiosincrasie, in Italia sembra più aver peso la nazionale indolenza, il “propriaiuolismo”, la spalluccia.

La Città del Sole non ha più cittadini. Per questo si “musealizza”, cerca di cristallizzarsi nelle sue forme piene, nell’estremo sforzo di rifiutare le proprie contraddizioni, gli sporchissimi tarli che abitano le sue viscere.

La Chiesa spirituale (ultima vera carta rimasta da giocare al cattolicesimo sul piano etico) non ha voce in capitolo in questo processo. Quella Chiesa che potrebbe – se messa a sistema con i diversi sentimenti morali che abitano il Paese – riflettere sull’ “anacronismo”, che può vivere la “paura” e accogliere l’abiezione della corruzione, della falsificazione, della violenza da parte di un adulto ordinato Sacerdote nei confronti di un bambino sordo e che non sa parlare, non pare davvero avere ascolto.

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Ultima tessera. Questo “rifiuto dei tempi” trova uno stimolo e un rafforzamento nella compagine internazionale. Mai come ora i capi religiosi, nella loro più ortodosso configurazione monocratica, operano con capacità politica e storica. Così agisce il Patriarca Kirill. Si allinea e esprime le scelte politiche di Putin; cuce alla geopolitica dell’élite la trama ideologica con cui avvolgere i cittadini. Separa con parole nette Occidente e Oriente; condanna il primo a subire una guerra “giusta”.

Non diverso alimento ha avuto in questi anni il Jihad. Come anche nel contesto israelo-palestinese i toni sacrali non sono stati esclusi nemmeno dalla fazione ebraica. Attualmente, in India il processo di “hinduizzazione” sta spingendo verso il margine tanto Islam quanto Cristianesimo. Degli Uiguri e delle persecuzioni da loro subite molto si è già scritto.

Le risultanti storiche sistematiche della sovraesposizione degli apparati religiosi su quelli politici sono state, e sono, la lievitazione degli identitarismi, la torsione delle prospettive di dialogo, la revisione storica, la violenza.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

Sebastiano Bertini

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