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Marettimo, la saggezza di un tempo e i segreti da tramandare…

La più selvaggia, la più segreta e sacra delle Egadi è Marettimo, e non soltanto perché forse è stata la mitica ITACA di ULISSE, come ipotizzarono Samuel Butler o il Graves, ma perché le sue montagne sono protese su meravigliose grotte scavate dal mare, o perché i mufloni dalle corna ricurve pascolano fra i cespugli profumati di timo, e fra le onde ogni tanto è possibile scorgere la foca monaca, un avvistamento mozzafiato.

Sicuramente è qualcosa di molto bello indugiare nel pensiero poetico, che immagina Penelope camminare per i sentieri assolati e salmastri aspettando il suo sposo, mentre i proci, suoi nemici banchettavano accendendo fuochi sulle rive battute dal vento. Il poeta Omero nella Odissea cantava Itaca o Marettimo come il luogo amato da Ulisse?

L’atmosfera dell’isola proprio per questo è inebriante, e un’aura misteriosa sembra circondarla, infatti non è possibile visitarla tutta in quanto in alcune zone è riserva naturale e quindi inaccessibile se non per via mare. Comunque sia un alone di energia molto positiva l’avvolge, anche se in alcuni punti la sua storia è terribile come la “tremenda fossa” delle carceri spagnole di Punta Troia. Quella sofferenza antica vibra ancora in quelle tombe in cui fecero una morte atroce tanti innocenti murati vivi. Corpi torturati con atrocità rendono le anime perturbate, che andrebbero pacificate perché non creino il male intorno.

Visitare quel luogo è anche scoprirne i lati oscuri, e rifiutare l’abominio della ferocia umana, che auspichiamo resti per sempre relegata nel passato.

L’aria di Marettimo è profumata perché vi crescono erbe incantate e i cieli popolati dagli “uccelli della tempesta” i più piccoli uccelli marini d’Europa, promettono l’azzurro intenso di una eterna primavera, ed esistono persone che riescono a fare stare bene e parlano come se ci conoscessero da sempre. In questo contesto vi racconto la storia di Marina, curata da una saggezza antica creata nel tempo, perché in un’isola così lontana alcuni uomini e donne sviluppavano il potere di guarire le sofferenze del corpo, della mente e anche dell’anima.

Antichi rituali, frutto di una saggezza antica che affonda le proprie radici nel contatto con le forze della natura, sono ancora praticati – pur se riservatamente e sempre meno – in tutto l’arcipelago delle Egadi. Una, fra le pratiche ancora diffuse, anche sulla terraferma, è quella della cosiddetta “pigghiata d’occhio”. Cos’è la pigghiata d’occhio? Una preghiera, un rimedio utile o una superstizione? Un rito religioso? Oppure una ciarlataneria? Forse è solo un ottimo esempio di medicina stregonesca…

“A LIVATA D’OCCHIU”

“Za Maria, Za Maria, haiu na botta ‘ntesta terribili”.

“Figghia mia veni ‘cca chi ti levu l’occhiatura”.

Cominciava così l’intervento magico “da Za Maria Facchetta”. La storia ce la racconta Maria Guccione.

“Assettati figghia mia” mi diceva l’anziana donna; poi prendeva un piccolo tegame con acqua che appoggiava sulla mia testa e posava sul tavolo accanto una bottiglia d’olio.

Iniziava quindi “a livata d’occhio ” con segni di croce sulla mia testa mentre mormorava la preghiera/scongiuro : LUNNIRI SANTU, MARTIRI SANTU, MERCURI SANTU, IOVIRI SANTU, VENNIRI SANTU, SABATU SANTU, DUMINICA DI PASQUA, STU MALI ‘NTERRA CASCA E PU NOMU DI MARIA STU MALI FORA SIA.

A questo punto versava un goccio d’olio nel tegame. Se l’olio si allargava fino a sparire l’operazione era riuscita e presto sarei guarita. A Za Maria quindi concludeva il suo lavoro stringendomi più volte la testa fra le sue mani, facendo croci e recitando un Gloria al Padre. Era quello, secondo me, il momento vero della guarigione, quella specie di massaggio rilassante e benefico, simile al tocco di un pranoterapeuta.

Ma se la goccia d’olio restava intatta allora A Za Maria aveva fallito e lei si giustificava “figghia mia,l’occhiatura è troppo forti.Si troppu bedda e brava,tutta ‘nmiria (invidia)”.

E contro l’invidia l’unica arma era un compressa di cibalgina o di Oki!! Tempi in cui la fede e la superstizione, camminando a braccetto, ci permettevano strane interazioni sociali con un mondo misterioso ma suggestivo.

Ah, l’acqua andava buttata in bagno e non in strada per evitare che un ignaro passante si prendesse la mia “occhiatura” !

Angela Serraino

redazione

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